Crea sgomento leggere alcuni testi, riferiti al mondo politico di quasi 160 anni fa, e comprendere come la storia non sia stata affatto magistra vitae o, piuttosto, per la classe politica lo sia stata fin troppo.
“Spirito scettico, incurante di principi e di convinzioni, con pochi scrupoli per la verità, pronto a seguire tutte le vie che gli assicurassero la maggioranza, salvo mutar completamente rotta non appena il vento mutava direzione, egli esercitò durante gli ultimi anni della sua vita la dittatura più assoluta che sia possibile in uno Stato a regime parlamentare” sono queste le parole spese da Pareto per tratteggiare la figura di Agostino Depretis e, in generale, per spiegare la situazione in cui versava l’allora Parlamento italiano: parole incredibilmente attuali oggi a riprova, ancora una volta, della fondatezza della teoria dei corsi e ricorsi storici.
Si parlava di maestria nel tessere, manipolare, procrastinare, sfruttare più i difetti che le virtù degli uomini. Si insinuava la capacità di eludere e aggirare le divisioni preconcette per giungere sempre a nuove coalizioni con nemici trasformati all’occorrenza in amici. Con l’abilità sartoriale di chi, con la stoffa di un cappotto un po’ logoro e fuori moda, riusciva a confezionare un abito nuovo.
Il trasformismo, inteso in un’accezione negativa come degenerazione della prassi del compromesso, produce sempre scosse sussultorie che abbattono i partiti, minandone le fondamenta ideologiche per restituire neo-formazioni politiche ad personam. E, in assenza di principi ideologici, iniziano a venir meno le divisioni nette, le prese di posizione, il coraggio di uscire allo scoperto per tracciare con fermezza delle linee guida. Tutto diventa mutevole, ritrattabile, confuso, negoziabile per dirla con Bauman fluido. Come i paletti procedurali consentono al processo di arenarsi, stagnante fra rinvii ed eccezioni, così lo sviluppo di un Paese si blocca fra mozioni e interpellanze, ingessato dall’assenza di aperte controversie, soffocato da collusioni e intrighi sorti dalle ceneri degli idealismi stessi.
L’Italia sta per spegnere 160 candeline con la stessa intrinseca debolezza di quando nacque, forse senza volerlo, frutto di un’operazione di vertice? E gli italiani si stringono intorno a Lei con immutati sentimenti, intravedendo nella res publica una sorta di cosa che non appartiene a loro bensì ad altri a cui addebitare responsabilità ma, al contempo, a cui riconoscere tutti i poteri avocando a sé esclusivamente il diritto di protestare.
E’ trascorso oltre un secolo e mezzo ma l’esortazione di D’Azeglio “l’Italia è fatta, bisogna fare gli italiani” fluttua ancora sulla testa di una Nazione che si è sentita unita nella prima ondata di pandemia, quando cantava dai balconi affidando messaggi di speranza e unità a candide lenzuola, ma già alla seconda ondata andava in ordine sparso spaventata ed esacerbata e, con all’orizzonte la terza, scopre che il trasformismo è la consueta modalità di parte della politica per navigare a vista.