Conte, Grillo, Fedez: comunicazione e potere tra palco e realtà

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Troppa luce sulla ribalta. Il palcoscenico ne è inondato. Accade così che ogni gesto, ogni movimento, ogni intenzione, ogni parola sia scrutata dal pubblico e dalle claque perennemente assiepate sulla loggia digitale e che imbastiscono istantaneamente un processo a suon di fischi e ululati digitali esternati con like, repliche e retweet. Accusa, difesa si schierano istantaneamente.

Senza giudici. Senza nessuna autorità morale superiore o riconosciuta tale che possa dirimere il caso o i casi quotidiani. Senza sentenza possibile. Dunque senza soluzione che sciolga il dilemma e faccia avanzare nella trama solo una diatriba costante, incessante. Senza soluzione di continuità. Rinnovata, sempre, ogni poche ore con un nuovo argomento. Tutto sotto la luce della ribalta del flusso dei social media. Tutto, istante dopo istante, identico nel suo divenire.

Questo è il nostro tempo condiviso di comunità che partecipa alla visione immediata dei pensieri altrui. E più si è stati capaci nel tempo di costruire una propria autonoma audience, più la propria scena sul palco sarà oggetto di attenzione, rimbalzando di media in media. Fino ad occupare tutto lo spazio dell’attenzione pubblica. Siamo dentro un gioco sociale fatto di presente che divora il futuro. Che non dà spazio al dopo di delinearsi come orizzonte da intravedere e raggiungere. Lo sguardo è basso.

L’uomo, unico animale eretto che si è posto con lo sguardo verso il proprio domani, oramai in questa contemporaneità tecnologica è ripiegato con il collo su uno schermo nero che diviene moltitudine di finestre potenziali sul mondo, ma in realtà piccolo pertugio dove sorbire ciò che pochi decidono debba essere osservato e discusso e solo e sempre nel presente che fluisce e scompare, senza lasciare prospettiva. 

Il controllo della massa da parte del potere dall’invenzione di Gutenberg in avanti si è organizzato in modo sempre più sistematico attraverso la costruzione di un’agenda di temi sui quali orientare la discussione pubblica. All’inflazionarsi del costo di riproduzione del “pensiero stampato” l’agenda ha dovuto divenire sempre più fitta. Rinnovando i temi della discussione e passando da una periodicità dilatata nel tempo a una incessante e frenetica loro ridefinizione. Dopo oltre 15 mesi dominati dalla comunicazione sulla pandemia, in Italia il video per una volta garantista di Beppe Grillo sul presunto stupro commesso dal figlio o la denuncia di censura subita da Fedez da parte dei dirigenti Rai sono stati i primi casi capaci di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla crisi sanitaria.

Essi appaiono come gli ultimi evidenti emblemi definitivi di un tempo in cui chi detiene le tecniche del dominio del palcoscenico e l’audience autonoma può determinare l’oggetto della diatriba pubblica. Togliendo spazio e tempo alla comunità per riflettere su temi più rilevanti. O più coerenti rispetto al contesto. La festa del lavoro usata per parlare di sacrosanti diritti civili, oscurando però quelli sociali. Il garantismo negato per anni e a tutti gli imputati ripescato per difendere il figlio del potente di turno.

Davvero sono questi i temi che hanno uno spessore tale da poter distogliere gli italiani dal dibattito sul futuro della democrazia dopo una crisi pandemica? Se eravamo abituati a ritenere che il mezzo fosse il messaggio è ora altrettanto vero, nell’epoca della prima maturità dei social media, ché il personaggio si fa messaggio e mezzo allo stesso tempo.

In una società democratica e liberale la costruzione della gerarchia dei temi sui quali discutere dovrebbe essere definita attraverso la capacità di comunicazione delle forze politiche (partiti), sociali (sindacati, organizzazioni di imprese), editoriali (mondo della cultura). E un tempo questi soggetti, detenendo i mezzi di comunicazione di massa, erano in grado assolvere a questo compito. Su particolari battaglie essi potevano anche utilizzare la fama dei personaggi famosi per stabilire una connessione sentimentale con le masse sul tema prescelto. Oggi invece hanno perso il controllo del mezzo principale dove si esplica la formazione dell’opinione, la rete, e dunque la loro capacità di determinare l’oggetto della discussione pubblica.

In ultima analisi hanno perso il controllo del mezzo e non sono più capaci di definire l’essenza del loro essere: costruire un’agenda per il futuro del paese e non per il presente, divenendo strumenti organizzati solo per la mera gestione del potere. Perso lo sguardo sul futuro hanno smarrito anche la capacità di conservare il loro ruolo di potere. Così troviamo questi enti di potere costretti a inseguire il personaggio famoso di turno, capace di imporre la sua voce e impegnato in una personale battaglia che a volte coincide con la posizione politica di questo o quel partito. Grillo da dieci anni e Fedez, dopo il matrimonio con la Ferragni, possono incidere sul dibattito perché detengono una connessione, una relazione speciale con il pubblico, sia esso fidelizzato od ostile.

Dunque accesso al palcoscenico, possesso delle tecniche, costruzione di un audience autonoma. Per tornare a definire l’agenda, la politica dovrebbe essere in grado di costruire leader in possesso di questi requisiti. Ma è sufficiente senza legare a questi elementi anche una reale visione ideologica sul futuro della propria comunità? L’ultimo politico che ha potuto contare su questi tre elementi è stato Giuseppe Conte, che al contrario dell’attuale presidente del consiglio dei ministri, Mario Draghi, ha investito tempo e risorse per acquisire le tecniche, grazie alla consulenza di Rocco Casalino, e ingrandire la propria platea di riferimento personale, passando da zero a oltre 4,6 milioni di fan sulla propria pagina Facebook in meno di 36 mesi.

Ma l’avvocato del popolo non ha potuto, nonostante tutto, conservare il suo ruolo di potere e una volta perso il palcoscenico e le dirette Facebook da Palazzo Chigi non sembra ora più in grado di definire l’agenda pubblica come fatto durante la sua permanenza alla guida del governo. La lettura del libro “Giuseppe Conte. Il carattere di una politica” di Rita Bruschi e Giorgio De Paola è utile per ripercorrere l’ascesa di uno sconosciuto cittadino che senza alcuna forza di rappresentanza diretta diviene premier quasi per caso e poi grazie alla capacità di utilizzare le leve della comunicazione politica diretta e lo stato di emergenza pandemica gestisce e implementa quel potere.

Oltre l’agiografia emerge un’analisi del discorso politico e comunicativo di uno sconosciuto avvocato di provincia che si fa leader nel pieno di questa epoca dominata dalla comunicazione disintermediata. La storia ci dirà se ai tempi del flusso costante dei social media le leadership politiche, come i temi dell’agenda pubblica, sono destinate ad essere flebili, transitorie, evanescenti. E se una volta scesi dal palco si può avere la forza di risalire.

 

Antonello Barone

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