Dopo lo scenario pubblicato a luglio scorso sull’autunno 2021, Research Dogma ritiene opportuno effettuare un ulteriore “richiamo” (terza dose), aggiornando i commenti sui principali fattori che andranno a determinare lo scenario del consumo nei prossimi mesi. Come sempre l’aggiornamento è basato sulle ricerche dell’Istituto integrate – come è buona prassi – con quelle degli altri enti ed istituti di ricerca che gentilmente pubblicano o rilasciano in occasioni pubbliche dati ed analisi.
Pangloss VS Cassandra: la diretta del match
Ripresa del PIL al 6,1%, disoccupazione sotto controllo, ottimismo dei consumatori (Istat) ai livelli più alti dal 2019; fiducia nel governo, inflazione congiunturale attorno al 3%, ma con una componente core contenuta attorno all’1% e comunque meglio della media europea; contagi in lieve salita ma decisamente migliori dell’Europa che conta; buona fiducia sociale nei vaccini e (forse) buona predisposizione alla somministrazione di massa delle terze dosi. Di queste news – o di storytelling simili – si nutre oggi la narrazione positiva che tende a prevalere nella comunicazione sociale che arriva al consumatore ed al cittadino italiano.
Ma se il dottor Pangloss ed il suo “migliore dei mondi possibili” ha molti argomenti, anche le Cassandre avrebbero diverse frecce al loro arco: le criticità presenti nel sistema appaiono numerose e meritano di essere considerate per disporre di uno scenario realistico del consumo dei prossimi mesi.
Ad esempio, le ricerche mostrano che l’andamento dei redditi delle famiglie italiane non ha avuto una ripresa altrettanto proporzionale a quella del PIL (il 30-40% delle famiglie ritiene di avere meno risorse rispetto a prima della pandemia: una percezione importante nella definizione delle aspettative e delle strategie di consumo). Stando ai dati appena pubblicati, queste non sono solo percezioni soggettive, dettate da paure ed incertezze: “Ocse: Reddito famiglie -3,8% malgrado salga il Pil. Nel trimestre l’Italia scende allo 0,1% dall’1,7% del primo”, titola l’ANSA il 9 novembre u.s.
Allo stesso modo, le eventuali Cassandre potrebbero inanellare una serie di ulteriori dati poco tranquillizzanti:
- la percezione di inflazione (come l’inflazione reale) è cresciuta velocemente nella popolazione e questo impatta sulle opinioni dei consumatori. Come racconta l’Osservatorio Findomestic nell’ edizione di ottobre 2021: “forte percezione dell’aumento prezzi (per il 72% degli italiani) con un impatto sulle intenzioni d’acquisto, in lieve calo”. L’inflazione viene ancora definita transitoria, da molte fonti ufficiali. Ma il trend ormai vede una crescita di quasi 12 mesi e molti analisti ritengono difficile che rientri prima di altri 12-24 mesi, senza considerare le voci più critiche che la considerano un elemento da considerare endemico almeno nel medio periodo.
- le percezioni degli italiani dei “pericoli sistemici” (rischio economico, per l’Italia ed il bilancio famigliare, rischio sanitario per le persone della famiglia) sono molto calate rispetto ai mesi passati ma restano ancora ad ottobre stabili sui livelli di un 20-30% di italiani “molto preoccupati”. Un aspetto che segnala la persistenza di malesseri ed incertezze che non sembrano sopite dalle narrazioni positive sulla ripresa ed i bollettini sanitari.
- le polemiche in atto fra favorevoli al vaccino ed al green pass (la maggioranza) e la robusta minoranza di italiani contrari o dubbiosi a vario titolo tende ad innalzare la tensione sociale generando, più che inclusione e solidarietà, scontro ideologico, incertezza e
No vax e No green pass: un fenomeno sociale da interpretate (non solo condannare)
Va ricordato che le posizioni dubbiose sui temi vaccinali e sui provvedimenti amministrativi legati alla pandemia sono abbastanza diffuse anche in Italia. L’area dei “dubbiosi” può essere stimata attorno ad un 30-40% degli italiani (anche fra i vaccinati e dotati di green pass, dunque). Come di recente ha mostrato una ricerca Eumetra presentata nel corso del Momketing (convegno sul tema del marketing e della comunicazione al servizio della mamma e della famiglia) almeno 4 mamme su 10 esprimono perplessità a vario titolo sulle questioni vaccinali. Non sono poche, considerando che la mamma è raramente un black block e spesso è la regista sui temi della salute per tutta la famiglia allargata.
Il disagio sociale indotto dalla pandemia prende oggettivamente forme anche “patologiche” e socialmente anomiche (il fenomeno dei No Vax è sotto gli occhi di tutti). Ma queste eventuali “patologie sociali” (di comportamento e pensiero) non possono essere curate solo con le armi della minaccia, dell’imposizione e dell’ordine pubblico.
Lo ricorda anche Gramellini nel suo fondo sul Corsera, commentando uno dei casi estremi di “ricatto sociale” da parte della società ai No Vax: far pagare le cure a chi rifiuta di vaccinarsi (come a Singapore) apre una deriva potenzialmente molto pericolosa e che riguarda domani potenzialmente tutti quelli che scelgono di avere comportamenti definiti “socialmente non virtuosi” (fumatori, golosi, etc). Potenzialmente tutti.
Vaccinare gli italiani contro l’incertezza?
La partenza della campagna vaccinale relativa alla terza dose non sembra peraltro aver avuto (ancora) grande successo. Di certo i numeri miglioreranno, ma l’idea di una terza dose a soli 6 mesi di distanza dalle due canoniche, potrebbe indurre nella popolazione pensieri di ulteriore incertezza sul prossimo futuro (una vaccinazione ogni 6 mesi?) portando acqua al mulino delle frange più critiche riguardo la gestione della pandemia.
Qualche scienziato (Corsera, 9 novembre: intervista al Prof. Abrignani, immunologo del Comitato Tecnico Scientifico) si azzarda – crediamo meritevolmente – a dichiarare pubblicamente che in realtà con il richiamo della terza dose la vaccinazione potrebbe durare fino a 5-10 anni, grazie all’attivazione della memoria di lungo termine del sistema immunitario.
Non siamo in grado ovviamente di valutare nel merito la dichiarazione; di certo, nel caso si trasformasse in una informazione istituzionale sarebbe una ottima notizia per cittadini e consumatori sballottati da comunicazioni ancora molto ondivaghe riguardo la situazione dei prossimi mesi.
Una comunicazione istituzionale che dovesse raccontare della necessità di una “terza dose dopo 6 mesi” per rinnovare ulteriormente un green pass a 12 mesi, potrebbe generare, in ampi strati della popolazione, dubbi che sarebbe meglio lasciar sopiti. Questo, ci piaccia o no, appare essere, purtroppo, lo scenario più probabile, nei prossimi mesi.
Speriamo arrivino comunicazioni più tranquillizzanti: iniettare nel corpo sociale certezze rassicuranti sui vaccini e la loro solidità e durata, almeno nel medio periodo, costituirebbe una cura efficace di fronte allo scenario delle suddette criticità e forse utile anche per alleviare una parte dei comportamenti e dei pensieri socialmente “non utili”.
Sostenere la sostenibilità
In questo scenario autunnale il tema della sostenibilità è diventato – assieme alla pandemia – la tematizzazione giornalistica di riferimento, grazie ad una serie di eventi a livello globale. Ma assieme alla visibilità ed al dibattito stanno emergendo quelle contraddizioni alle quali si faceva cenno in estate: la sostenibilità è un valore per tutti, ma non è una buona pratica per tutti.
In altre parole: il mondo è pieno di credenti nella sostenibilità, ma più sgombro di praticanti. Sembra dura da digerire, ma è la realtà. Lo dicono le ricerche svolte in questi mesi in Italia da vari istituti, fra i quali anche Research Dogma ed Eumetra : le curve di elasticità del prezzo misurate per prodotti sostenibili ma leggermente più cari di quelli normali non sono così tranquillizzanti.
In Europa la ricerca (riportata qui a fianco) e svolta nelle scorse settimane da Kantar conferma che anche la disponibilità del consumatore europeo a fare sacrifici appare moderata. I consumatori sono disponibili a fare qualcosa, ma non molto e comunque non a cambiare il proprio stile di vita. Per contro, chiedono che siano le aziende a togliere loro le castagne dal fuoco.
Per cui alle aziende non spetta oggi solo il compito di parlare di sostenibilità integrandola nei rispettivi Brand Purpose, ma anche la gestione del livello successivo: quello di trovare la quadra fra processi produttivi e innovazione di prodotto e servizio creando una sostenibilità… “sostenibile” dal mercato.
Lo abbiamo già detto in altre occasioni, ma oggi possiamo aggiungere qualche dettaglio in più. Il consumatore non è in fondo completamente senza cuore. Uno sforzo in alcune direzioni della sostenibilità è pronto a farlo. Ad esempio, è disponibile ad agire in due direzioni:
- quella degli aspetti collaterali al prodotto: il tema del pack e delle sue ottimizzazioni in senso ambientale, sul quale molto resta da fare, anche per i retailer;
- quella dell’economia circolare.
Su quest’ultimo punto le disponibilità appaiono molto concrete e riguardano opportunità che molte aziende stanno iniziando a gestire e che riguardano nelle diverse forme i temi di allungamento della vita del prodotto: la rimessa in circolo di prodotti ricondizionati; il tornare a rendere riparabili, a condizioni ragionevoli, i prodotti vecchi; la vendita dell’usato (anche nello scambio P2P). Il prime time Tv inizia ad avere affollamenti di soggetti (siti ed App) che operano espressamente in questa direzione e le risposte del mercato appaiono interessanti.
Tutti questi fenomeni qui raccontati, dalle buone notizie fino alle contraddizioni sulla sostenibilità hanno una relazione con la ripresa dei consumi interni? In buona misura sì. Dobbiamo ricostruire una normalità, non necessariamente nuova, anche se ricca di innovazioni e nuovi comportamenti socialmente positivi. Però alla normalità sostenibile serve che il sistema di Offerta (e le istituzioni) agiscano abbassando il carico di effort e incertezza per la famiglia italiana dato dalle complessità ed i vincoli non ancora risolti di un post pandemia che…non è ancora post.
Riprendendo quello che dice ancora una volta l’Osservatorio Findomestic pubblicato in ottobre (realizzato da Eumetra e a cui Research Dogma collabora per le analisi di scenario): “Nonostante la netta riduzione delle ansie e delle paure nate nel corso dell’emergenza sanitaria, il ritorno alle vecchie abitudini non è ancora consolidato: il 60% afferma di uscire meno rispetto a prima della pandemia.
Il 67% partecipa meno di prima ad attività culturali, il 65% frequenta meno di prima bar, ristoranti e pizzerie, il 51% vede meno amici e parenti. Insomma, la normalità è ancora lontana. ” Se vogliamo avere una ripresa sociale (e non solo una ripresa industriale, come quella già oggettivamente in atto) dobbiamo lavorare molto anche su questi aspetti.
Fabrizio Fornezza, 12/11/2021