Le aspettative nei confronti di questo Governo sono estremamente elevate. Non vi sono dubbi che la squadra di Governo riuscirà a mettere a punto un Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) idoneo a ricevere i 209 miliardi del Next Generation EU, ma poi emergeranno le criticità dell’applicazione pratica: le pastoie burocratiche, le proteste locali per le grandi opere, i gruppi di interesse poco inclini a cedere privilegi e soprattutto il rispetto dei tempi. Cosa ne sarà di questi progetti se a un certo punto la politica vorrà riprendere in mano il timone e darà un ben servito a Draghi? Probabilmente opere incompiute, riforme abbozzate, tante pagine scritte sui documenti di programmazione senza applicazione e tanto, tantissimo debito.
E proprio il debito, ora passato in secondo piano, tornerà alla ribalta una volta rientrata la pandemia.
E allora andiamo a vedere l’aggiornamento dalla nostra ultima pubblicazione, di tutto ciò che attiene ai conti del Paese.
Al momento la maggioranza dei partiti sembrerebbe aver imboccato la strada della responsabilità, accantonando i protagonismi personali; se la situazione rimanesse tale e se il Governo riuscisse a presentare velocemente un Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) a Bruxelles si potrebbe persino assistere a un miglioramento dell’outlook da parte di qualche agenzia.
Il primo appuntamento è a inizio marzo con Scope, società di valutazione minore, ma le vere prove d’esame arriveranno ad aprile con Standard & Poor’s e DBRS e soprattutto a maggio con Moody’s, che insieme a Fitch, giudica l’Italia a un solo gradino dal rating spazzatura.
A dicembre il debito è diminuito di 17 miliardi rispetto al mese precedente; un calo che si presenta ogni anno e che contribuisce a migliorare i dati statistici a consuntivo come debito/PIL e deficit/PIL. Tuttavia, nel 2020 la diminuzione è stata molto inferiore rispetto agli anni precedenti, confermando la condizione di stress dei conti pubblici negli ultimi 12 mesi.
Occorre ricordare che il 2020 è iniziato con un debito di 2.410 miliardi, il dato di fine anno a 2.569 miliardi conferma un record storico nell’aumento pari a 159 miliardi: uno strascico degli effetti economici della pandemia che si trascinerà nel tempo e che, per sanarlo, richiederà sacrifici o peggio tassi elevati di inflazione per diversi anni.
Stimiamo una forte ripartenza del debito già da gennaio 2021, con una progressione che potrebbe portare il debito vicino alla soglia dei 2650 miliardi entro il primo semestre dell’anno.
Entrate e uscite: non ci siamo
Nel 2019, 7 mesi su 12 presentavano un saldo negativo, mentre l’anno scorso i mesi con uscite maggiori delle entrate sono stati 10 su 12; infatti, solo gennaio e agosto hanno avuto entrate che sono risultate capienti rispetto alle uscite. Ma l’aspetto forse più preoccupante è che nel 2020 lo sbilancio fra entrate e uscite ha raggiunto i 228 miliardi mentre nel 2019 si era limitato a 67 miliardi, una cifra di molto inferiore ma pur sempre di entità elevata.
Lo stock di Titoli di Stato
Per finanziare 159 miliardi di debito nel 2020 sono stati emessi 137 miliardi di titoli di Stato in più. Il carico maggiore di queste emissioni è relativo ai BTP il cui circolante cresce di 102 miliardi, ma anche i titoli a breve come i BOT aumentano la loro quota di 7 miliardi; la nuova tipologia di titoli BTP Futura ha visto emissioni per 12 miliardi. Vi sono mesi con importi particolarmente elevati di scadenze superiori a 35 miliardi.
Spesa per interessi in calo
L’andamento delle nuove emissioni resta favorevole, con un continuo calo dei rendimenti favorito anche dalla recente fiducia al Governo Draghi. Pur con un circolante maggiore, stimiamo nel 2021 una spesa lorda per interessi a 64,6 miliardi leggermente in calo rispetto ai 65,6 miliardi del 2020; ulteriori revisioni al ribasso potrebbero intervenire nel caso di un avvicinamento dei nostri rendimenti a quelli dei Bonos spagnoli decennali, attualmente a circa 30 basis point inferiori ai nostri. Da una nostra analisi di sensibilità ai tassi si può considerare ogni ulteriore ribasso medio dello 0,50% nei rendimenti capace di portare un beneficio alla spesa per interessi di circa 400 milioni al mese pari a 4,8 miliardi l’anno. Figura 8: Stima spesa per interessi a fine 2021
Gli acquisti della BCE
Titoli di Stato: il 25,3% è in mano alla banca centrale. Il ritmo degli acquisti da parte della banca centrale si sta progressivamente assottigliando, anche il Programma di emergenza pandemico effettua acquisti ben al di sotto degli importi che lo porterebbero a raggiungere i 1.850 miliardi a marzo 2022 (acquistati a gennaio 57 miliardi contro i 74 miliardi consentiti).
Ciò conferma una situazione in via di normalizzazione sul fronte del finanziamento del debito pubblico europeo, senza particolari tensioni sul fronte dei rendimenti che restano a livelli prossimi allo zero o negativi. La quota di titoli di Stato italiani detenuta dalla BCE/Banca d’Italia in rapporto al circolante totale è ormai giunta al 25,3%.
Occorre notare come la quota assorbita dal mercato non presenti particolari spinte verso l’alto a fronte di un aumento del circolante, ciò significa che la banca centrale ha assorbito le maggiori emissioni senza pesare sul mercato ed evitando un rialzo dei rendimenti.
Produzione industriale in pausa, commercio in altalena
Il recupero della produzione ha perso colpi e sembra stabilizzarsi ben al di sotto dei livelli pre-pandemici; difficile dire se sia solo una pausa prolungata o se invece sia una debolezza destinata a durare. Più altalenante il commercio al dettaglio, che dopo il forte recupero che ha permesso di recuperare i livelli pre-pandemici ha subito un brusco arretramento a novembre, seguito da un modesto recupero a dicembre. Il commercio elettronico continua a mantenersi in buona salute con un aumento del valore delle vendite su base annua del 33,8%. Figura 13: Commercio al dettaglio da gennaio 2019 a dicembre 2020 (Elaborazione su dati Istat).
Il mercato del lavoro
L’aumento degli occupati ha subito una battuta di arresto a dicembre con un calo di 102 mila unità rispetto al mese precedente, ma è il saldo annuale che desta la maggiore preoccupazione: da fine 2019 a fine 2020 si sono persi 444 mila posti di lavoro in gran parte donne.
Anche sul tasso di disoccupazione troviamo differenze di genere, nel 2020 questo è passato dal 8,8% al 8,3% per gli uomini, mentre le donne sono passate dal 10,7% al 10,0%. Il genere femminile continua ad essere penalizzato nel mondo del lavoro e si presume che queste occupazioni perse saranno ancora più difficili da recuperare.
Maurizio Mazziero