Economia

Di Maio tace su Bibbiano ed entra nei Socialisti & Democratici

Di Maio è eracliteo, a sua insaputa. O forse no. Nell’era delle fluidità, in cui tutto scorre senza permeare di sé il circostante e dove è davvero impossibile bagnarsi due volte nello stesso fiume, come diceva Eraclito, non deve stupirci ritrovare il ministro degli esteri nel governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, dopo aver governato egli prima con la destra della Lega e poi con la sinistra di LEU. E ora con entrambi.

Come per il filosofo greco, anche secondo Di Maio tutto cambia continuamente. Osservando il mondo niente rimane uguale a se stesso. Il fiume della la politica scorre di continuo e anche noi, elettori e eletti, cambiamo continuamente. E questa attitudine è necessaria, poiché senza l’opposto di ogni cosa quella cosa stessa non potrebbe essere compresa davvero. Per questa ragione contingente, grazie al contesto sociale e storico delineato dall’era digitale nel quale la politica si esplica, è possibile leggere la notizia che il ministro degli esteri è favorevole all’ingresso del M5S nella famiglia europea dei socialisti e democratici, senza che questo provochi una reazione sbigottita o un sussulto di scandalo da parte dell’opinione pubblica.

Etimologicamente lo scandalo è l’inciampo, l’ostacolo. E Di Maio non inciampa. Anzi. Continua la sua corsa politica, zigzagando. Il cambio di opinione di chi ha avallato i decreti Salvini, di chi ha costruito il falso mito delle “ong taxi del mare”, di chi ha indossato le magliette No-Euro, di chi è volato a Parigi per omaggiare i gilet gialli e invocato l’impeachment per l’attuale presidente della Repubblica e ora sceglie la casa della sinistra socialista e democratica come rifugio europeo non scuote affatto l’opinione pubblica e non crea imbarazzo a chi lo compie.

Questo può accadere poiché la coerenza in questa nostra era fluida, appunto, non è più un ostacolo al fluire continuo della propaganda che si fa di sé. La parola è come la moneta: quando ve n’è troppa s’inflaziona e perde valore. Quando il flusso delle dichiarazioni politiche è continuo la parola si svilisce. Paradossalmente però invece di divenire un problema per i politici questa circostanza diventa per loro un vantaggio.

La parola politica, tagliato il cordone ombelicale con l’ideologia, non è più necessario che sia legata ad una logica. Non deve più produrre una conseguenza. Non sottostà più alle regole di causa ed effetto. Senza una visione del mondo, una Weltanschauung come dicono in modo più preciso i tedeschi, che la leghi ad un perimetro ideale definito, essa diviene un palloncino leggero, libero, vacuo, inconsistente, camaleontico. Che viene spinto dalle correnti ascensionali del successo senza un vero motivo politico. Senza una vera necessità ideologica.

E nonostante il destino tenti di destarci del nostro torpore di società civile disabituata all’uso della ragion critica, siamo insensibili anche ai più evidenti elementi di coincidenza che dovrebbero innescare il cortocircuito di senso e farci comprendere l’assurdità di quello che avviene. In un altro momento politico la sentenza emessa da un giudice sul caso di Bibbiano con la quale viene condannato in primo grado lo psicoterapeuta Foti avrebbe scatenato l’ira funesta degli elettori del M5S e dello stesso Di Maio contro il partito di Enrico Letta.

L’uomo che solo nel 2019 affermava: “Il Pd a Bibbiano toglieva i bambini ai genitori dopo avergli fatto l’elettroshock, io non voglio averci nulla a che fare” ora può tacere sul caso e chiedere, senza preoccupazione di essere dileggiato, al segretario di quel partito di intercedere per il suo movimento e per se stesso per vedersi garantita una nuova verginità di politico europeista e atlantista, dopo gli anni di ammiccamenti cinesi e di valzer nazionalistici.

Nella stessa settimana in cui esce la sentenza sul caso Bibbiano il Pd accetta dunque di spendere tutta la propria influenza politica in seno alla famiglia socialista per far accogliere il movimento di Conte e Di Maio in seno ad essa. Letta porge l’altra guancia, taglia il vitello grasso per il presunto figliol prodigo accettando anche l’ira di Calenda. Cristianamente Letta riconduce a sé il Caino e non lo punisce. Non lo tocca, ma lo perdona. Prende la costola fuoriuscita dal proprio corpo e si fa sfregio della propria dignità e di quella di una comunità che ha avversato per anni i grillini pur di rimetterla al posto che ritiene quello naturale. In seno alla sinistra.

Letta leggendola ha forse creduto davvero all’autenticità dell’autobiografia di Di Maio, Un amore chiamato politica. Il ministro, ispirato al modello letterario sovietico, ha fatto strage grazie alla tecnica della damnatio memoriae di tutti i fatti politici che lo ponessero altrove dall’alveo democratico e progressista.

La riscrittura della storia, l’adeguamento dei fatti all’esigenza del contingente spinge Di Maio ad ammette solo ora che il principio dell’uno vale uno non è in fondo valido. A ritenere che non tutti possono fare politica. Che l’esperienza conta. E cosi si spinge a ritenere che la regola aurea del movimento, quella dei due mandati può essere abrogata. Solo due mandati non sono sufficienti per dispiegare il proprio talento. Poiché egli ha ora acquisito l’esperienza necessaria, dopo aver retto ben tre dicasteri, per poter dare davvero il meglio di sé per il Paese chiede di poter proseguire la sua carriera. In fondo ha solo 35 anni. E come una novella Marina Ripa di Meana ha sentito il dovere di raccontare i suoi prima di anni. Chissà cosa ci riserveranno i secondi.

Del resto se Draghi andasse davvero al Colle chi in seno al M5S potrebbe ambire con qualche legittima aspirazione, vista l’esperienza ministeriale, alla scrivania di Palazzo Chigi per consentire che si concluda la legislatura, facendo sintesi fra Letta e Conte?

Tutto fluisce. Di Maio permane.

 

Antonello Barone, 13/11/2021