Economia

Draghi il fabbricatore di sogni, seduce l’Europa a Cinecittà

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C’è lei, la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen impegnata in un passo di danza come in un film di Federico Fellini, forse più la Ekberg che la Masina in Ginger e Fred. O forse quel colpo d’anca è della Loren in Mambo italiano? Oppure della Mangano in Riso Amaro? E poi c’è lo sguardo buono di Mario Draghi in posa nella luce, incastonato dalle ombre, mano alla mascherina da deporre in un’immaginaria fondina, come fosse una pistola che ha appena colpito il cattivo di turno in un western di Sergio Leone. Che cinema di foto. Gilles Gressani, direttore di Grand Continet la rivista di geopolitica europea su twitter appena vista l’immagine dell’Ansa ha scritto “L’Italie de Mario Draghi a trouvé sa photo iconique”. La foto iconica di una nuova stagione politica che racconta il Paese che vogliamo far credere di essere e che forse per l’eccesso di bisogno di aderire agli stereotipi altrui finiremo per essere davvero. Nostro malgrado.

Eppure quelli dello staff del presidente del Consiglio dei ministri italiano l’hanno scelta con cura la location per immortalare il ricordo della visita della politica tedesca. La foto che resterà il simbolo della generosità europea, quella del giorno in cui l’Europa ci ha portato in dote la prima tranche dei miliardi del Next Generation EU, grazie alla valutazione lusinghiera da parte della Commissione del PNRR preparato dal governo Draghi. Pomeriggio romano, sole alto, fuori dal Teatro di posa, il N° 5 di Cinecittà, quello gigantesco dove i sogni di Fellini appunto prendevano forma, con quel numero immenso sulle teste dei due politici che rimanda ad un’altra icona della cinematografia, Marilyn Monroe e a quelle due gocce di profumo Chanel N° 5 usate come unico riparo per il suo corpo durante il sonno della notte. 

Il governo Draghi investirà 300 milioni per Cinecittà, oltre 6,68 miliardi per la cultura utilizzando i fondi del debito europeo. Per raccontare alla generosa Europa come utilizzeremo queste risorse che ci aiuteranno a condurci lungo una Strada che ci porterà fuori dalla pandemia, variante Delta permettendo, si è scelto un luogo che per antonomasia definiamo fabbrica dei sogni. L’azzardo metaforico è suggestivo e allo stesso tempo ardito. Abbiamo scelto un luogo che rimandasse alla memoria di un’epopea di felice spensieratezza postbellica, quando il Bel Paese ricostruiva la sua economia e ospitava le star americane, quando le Vacanze erano Romane e sulle Vespe non c’era ancora lo Special One con la sciarpa giallorossa, ma una minuta attrice britannica e il suo anfitrione americano, Spartacus rompeva le catene della schiavitù e i macisti saltavano su improbabili bighe. Per alcuni anni Cinecittà ha fatto sognare il mondo all’italiana con i suoi film. La vita era dolce in via Veneto e i paparazzi scorrazzavano alla ricerca di scoop che sarebbero finiti sulle riviste patinate o sdrucite di mezzo mondo con Roma come sfondo, prima che Fellini, sempre lui, girandola per davvero La Dolce Vita ne decretasse, svelandone i suoi alterati meccanismi, la fine. 

Il governo Draghi ha l’obiettivo di rimettere in moto la fabbrica dei sogni e con essa ridare una mano di patina all’immaginario che nel mondo hanno del nostro gusto e del nostro stile. L’ambizione è comprensibile. Un’impeccabile operazione Amarcod. Quasi didascalica. Potremmo riuscirci. Spendendo tutto, spendendo in fretta, spendendo bene. Stimolando la crescita, riformando il paese. Creando fiducia, restituendo la moneta della credibilità. A leggerlo così sembra davvero un sogno. Per diventare l’uomo che fabbrica sogni che diventano realtà Draghi deve azzerare un unico rischio: quello che i partiti che lo sostengono possano desiderare che i miliardi di debito elargito dai nostri partner europei servano per realizzare i loro di sogni e non quelli delle giovani generazioni di italiani e di europei. Saremmo additati in questo caso come i soliti Clowns, impuniti Vitelloni pronti a vivere sulle spalle altrui. Oppure per una volta sapremo dare il meglio di noi in una splendida Prova d’Orchestra

 

Antonello Barone