Dopo i silenzi comunicativi iniziali, ora è l’eloquio politico di Mario Draghi a impressionare. Sono stati sufficienti, senza considerare il discorso per la fiducia, un intervento alle Camere e due conferenze stampa non addomesticate per far scoprire agli italiani la statura eminentemente politica del tecnico chiamato da Sergio Mattarella a Palazzo Chigi per gestire la fase di vaccinazione e la scrittura del Recovery Plan.
Chiaro, diretto, essenziale, competente. Con un tocco di ironia che ne tradisce la sana verve romanesca. Dalla comunicazione affettata e paternalistica del suo predecessore, siamo passati ad una comunicazione di statura europea per metodo, contenuti, visioni, nella quale non si fa uso di arzigogoli linguistici e perifrasi per informare l’opinione pubblica.
L’intermediazione delle domande poste dai giornalisti torna ad essere reale e non viene più usata come mero assist per esporre contenuti predefiniti, bensì come opportunità per approfondire e definire le scelte compiute e da prendere.
Sono tre gli elementi politici che emergono in modo netto in queste prime settimane di comunicazione istituzionale del nuovo presidente del Consiglio: l’atlantismo, il pragmatismo e l’orizzonte europeo.
Il primo elemento politico della comunicazione di Draghi è la chiarezza con la quale ha ridefinito la collocazione geopolitica dell’Italia. Il governo ha spazzato via due anni di ammiccamenti con le potenze autarchiche e antidemocratiche dell’oriente. Ha ribadito che il solo posto dell’Italia nel mondo è all’interno dell’alleanza atlantica.
Ha tenuto a sottolineare come la nuova amministrazione democratica di Biden abbia rinnovato nel sodalizio con l’Europa l’unico pilastro strategico a livello globale, individuando in Cina e Russia non solo competitori economici, ma anche portatori di valori antidemocratici. Con gli antidemocratici si può commerciare, si può dialogare, non ci si può alleare in modo strategico.
Draghi, inoltre, sul punto ha già dimostrato la sua coerenza di visione, utilizzando il potere esecutivo della golden share per fermare l’invadenza cinese sul mercato interno sulla nuova rete di telecomunicazioni 5G. Con una telefonata al primo ministro turco Erdogan, definita “articolata”, e la messa in agenda del viaggio in Libia a inizio aprile, Draghi ha poi rivendicato il ruolo dell’Italia nel mediterraneo completamente smarrito negli ultimi mesi.
Allo stesso tempo ha posto all’attenzione dell’interlocutore islamico il tema dei diritti civili, criticando la scelta di Ankara di uscire dalla Convenzione di Istanbul sui diritti delle donne, dimostrando che il tema dello stato di diritto è realmente centrale nella costruzione delle relazioni diplomatiche dell’Italia.
Il secondo elemento è il pragmatismo elevato a stella polare dell’azione politica. Un pragmatismo che si è esplicitato nella nuova relazione dell’Italia nei confronti dell’Unione Europea. Un atteggiamento che può fare breccia nel cuore dei tanti sovranisti italiani, ma anche di democratici abituati a difendere Bruxelles per mera posizione ideologica e sempre con minor convinzione.
Draghi è credibile quando afferma che la scelta di affrontare la crisi pandemica a livello europeo è la strada maestra, ma che a fronte di inefficienze e ritardi dell’Unione il dovere degli stati è quello di salvare vite umane. Quindi si deve essere pragmatici e, dove necessario, è giusto provvedere ad iniziative strategiche autonome, sia nell’approvazione e nell’approvvigionamento di vaccini, sia nel blocco all’esportazione per le aziende inadempienti, sia nella loro produzione autonoma.
Una politica che può essere letta come “sovranismo pragmatico” o come “pragmatico europeismo”, dipende dai reciproci punti di vista iniziali, che da un lato libera l’Italia da una visione manichea e spesso di sottomissione acritica rispetto alle logiche europee, mosse di sovente dai primari interessi franco-tedeschi, e che dall’altro è utile a Draghi anche nel disinnescare le polemiche interne con quella parte della sua maggioranza che vorrebbe accelerare verso le riaperture, senza tener conto dei dati sull’andamento dei contagi e del sovraccarico delle terapie intensive negli ospedali.
L’ultimo elemento politico emerso attraverso la sua comunicazione istituzionale gli deriva dalla propria esperienza da governatore della BCE. Draghi è convinto che sarà la moneta europea e le future politiche di bilancio a consentire la costruzione di una più forte e compiuta Unione.
La condivisione di un debito unico è la strada obbligata per dare forza definitiva all’euro come alternativa internazionale al dollaro e rafforzare così tutte le economie degli stati membri. Draghi è conscio della difficoltà dell’impresa e del tempo necessario per convincere tutti i leader e i popoli dei 27 stati. Probabilmente occorreranno generazioni.
Allo stesso tempo è netto nello stroncare le velleità dei suoi colleghi di poter raggiungere l’obiettivo di un euro forte attraverso scorciatoie o risposte marginali e secondarie. “Perché le risposte marginali producono risultati marginali”.
In poco meno di sessanta giorni la comunicazione istituzionale di Mario Draghi, economista e tecnico, ha collocato nuovamente l’Italia dentro il suo perimetro costituzionale: in politica estera tornano a splendere i valori dell’europeismo e dell’atlantismo senza fare torto all’interesse nazionale, che non può realizzarsi attraverso un sovranismo urlato, ma solo grazie ad una pragmatica volontà di difendere nella pace, nel dialogo internazionale e nella difesa dello stato di diritto e dei diritti civili non solo dei cittadini italiani, ma di tutte le donne e di tutti gli uomini, la nostra visione democratica della società.
Un presidente del consiglio dei ministri più politico di così era difficile da trovare.
Antonello Barone