Il Fondo Monetario Internazionale nel World Economic Outlook, licenziato il 14 aprile, ha certificato la globalità della recessione in atto. Pur nella difficoltà di elaborazione delle stime sulla crescita del PIL nelle varie aree del mondo, i dati offerti alla riflessione dei policymaker sono impressionanti. Nell’anno in corso il PIL mondiale si contrarrebbe del 3%, di ben 6.3 punti percentuali in meno del dato di gennaio che stimava una crescita mondiale positiva al 3,3%. Ad una profondità mai vista di una recessione si accompagna la sua sistematica diffusione. Nessun paese esclusi Cina ed India, avrebbe nel 2020 un tasso di crescita positivo. La Crisi da Lockdown, come il FMI la definisce, ha tutte le premesse per essere più impegnativa e distruttrice di capacità produttiva della Grande Depressione.
Le previsioni di crescita per il 2021 sono quanto mai incerte perché condizionate dall’evoluzione della pandemia da Covid-19. La sua durata, la sua intensità, e l’efficacia delle politiche sanitarie di contrasto saranno capaci di condizionare radicalmente il dispiegarsi delle attività economiche. Nello scenario base, il migliore atteso, il rimbalzo del PIL mondiale potrebbe essere tale da collocare la sua crescita al 5,8%. Nello scenario peggiore la recessione mondiale continuerebbe nel 2021 con un’ulteriore caduta della nuova ricchezza prodotta del 2,2%.
Le previsioni per l’Italia -una caduta del PIL del 9,1% nel 2020 ed una sua crescita del 4,8% nel 2021- collocano il paese nella posizione di fanalino di coda fra quelli più industrializzati nel presente e nella prima posizione per tasso di crescita nell’anno che verrà.
Le previsioni del FMI per il 2020, erano largamente attese. Congruenti e compatibili con quelle della Confcommercio, una volta annualizzate, e del Centro Studi di Confindustria. D’altro canto, l’Indagine sulle aspettative di inflazione e crescita della Banca d’Italia pubblicata negli stessi giorni dell’Outlook, mostra il barometro della situazione economico generale del Paese orientato verso la tempesta. Il numero d’imprese che segnalano, nel questionario del primo trimestre dell’anno, un peggioramento della situazione generale rispetto al trimestre precedente è pari all’80%. Il dato si collocava al 30% nella rilevazione precedente. Il pessimismo nelle aspettative delle imprese è analogo per dimensione a quello rilevato nel primo trimestre del 2009, all’indomani della crisi della Lehman Brothers. Un’ulteriore specificazione del dato è tuttavia necessario: il periodo delle rilevazioni fa riferimento al 3-20 marzo, e dunque i giudizi, pur nella loro negatività, non tengono conto del lockdown.
Un contesto così drammaticamente recessivo richiederebbe adeguate risposte di politica economica che si fanno attendere. Difficile e controversa è l’implementazione di quelle approvate. Lunga e oltremodo complessa è la progettazione di quelle future.
Il decreto dell’8 aprile, quello con le misure urgenti in materia di accesso al credito, sta in questi giorni trasferendo liquidità, garantita al 100% dallo Stato, ai piccoli professionisti ed alle micro imprese. Si intravedono difficoltà e fondate resistenze del sistema bancario ad aprire i rubinetti per i nuovi affidamenti con garanzie ridotte fino al 70% per gli importi maggiori, per i quali una previa valutazione del merito di credito del prenditore è comunque necessaria. Dei 200 miliardi di liquidità addizionale previsti per le aziende non si vedono al momento i risultati. Dei 200 miliardi destinati all’export non esistono tracce evidenti.
In attesa del nuovo decreto di aprile, si è aperto un dibattito lacrimevole sull’opportunità o meno di accedere alle proposte presentate dall’Eurogruppo. In particolare alle linee di credito attivabili attraverso il Meccanismo Europeo di Stabilità, meglio noto come il Fondo salva stati. Sono 36 i miliardi disponibili, a lunga scadenza e ad un tasso d’interesse inferiore a quello di mercato. Farebbero risparmiare al paese più di un miliardo di interessi. Sono senza condizionalità sulle poste del bilancio dello Stato. Hanno un unico vincolo, quello di dover essere utilizzate nell’ambito sanitario. Che il Mes da solo sia uno strumento insufficiente per affrontare la crisi in atto è un dato di fatto. Che sia vecchio e inadeguato è un mero giudizio di valore che di per sé toglie al Paese un’opportunità senza escluderne altre. Nel durante Cronin direbbe The Stars Look Down!