Economia

Economia sociale e capitalismo: possono convivere?

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Il compito più arduo per chi governa è naturalmente perseguire gli interessi della comunità salvaguardando il patrimonio e le casse dello Stato.

Se prima dell’avvento della finanza globale indirizzare la politica economica e finanziaria di un paese comportava scelte meno impopolari ora le variabili di cui tener conto (leggi le lobbies da accontentare) sono innumerevoli ed accade non di rado che a trarne vantaggio siano proprio le cosiddette caste e non i cittadini.

Partiamo da un presupposto fondamentale senza scomodare ideologie politiche ma affidandoci alla logica ed è il dato di fatto che per vivere sono necessari beni di prima necessità che non dovrebbero essere in mani private; questi prodotti, risorse e servizi vitali e necessari costituiscono le fondamenta della quotidianità e del sostentamento di singoli individui e famiglie.

Nello specifico, pane, acqua, energia e moneta che nel nuovo mondo ha la stessa valenza del pane, non dovrebbero essere oggetto di speculazione né di lucro esasperato bensì in imparziali mani statali.

Comunismo? Assolutamente no, nazionalizzazione dell’era moderna quale strumento per agevolare la politica economico-finanziaria di uno stato e ridurre al minimo le involontarie ed innumerevoli ingiustizie sociali.

Un esempio pratico sono i molteplici salvataggi di banche che sono costati all’erario miliardi di euro, se si considera che sono società private ciò è incredibilmente ingiusto nei confronti di aziende operanti in altri settori, allo stesso modo private, che devono sopravvivere con le proprie forze.

Naturalmente le banche non sono state salvate al solo fine di preservare i posti di lavoro, soprattutto perché con la digitalizzazione decine di migliaia di bancari hanno perso e perderanno comunque il lavoro, bensì perché gestiscono i patrimoni dei cittadini e finanziano la crescita di un Paese traendone però più profitto del dovuto che si traduce in maggiori oneri per individui ed imprese; oltre al fatto che quando vi è necessità di erogare crediti, soprattutto nei momenti di crisi, si tirano indietro nonostante lo Stato non abbia fatto altrettanto quando si è trattato di salvare istituti prossimi al default.

In momenti di crisi come quello che stiamo vivendo è sufficiente porsi una sola domanda: in quali settori si riscontrano le maggiori criticità? Energia e credito che se fossero in mani statali sarebbe bastata una sola settimana per decidere misure di contrasto ad inflazione e caro energia senza dover necessariamente perseguire la logica de profitto e non scontentare gli azionisti.

Il profitto è in antitesi con l’equità, ciò ovviamente non vuol dire che non debba esistere ma nei settori strategici per la vita dei cittadini dovrebbe essere appannaggio dello Stato che per legge deve garantire eguali opportunità per tutti agevolando le classi deboli.

Una banca che concede credito ad un’impresa non certo opera in beneficienza e persegue, ovviamente, la logica del profitto ma se la banca fosse in mani statali l’intervento a favore dell’impresa sarebbe posto in essere senza necessariamente perseguire la logica dell’over-profitto, soprattutto nei momenti di crisi, e costituirebbe un tassello della politica economica atto a favorite espansione, e come tale avrebbe condizioni molto meno onerose per il debitore.

Questo non è altro se non un piccolo esempio di come potrebbe cambiare volto una società concentrando i beni e le risorse vitali nelle mani dello Stato; vi sarebbe molto più dinamismo imprenditoriale e meno defaults di aziende, meno famiglie in difficoltà e meno cittadini sotto la soglia di povertà.

Lo stesso principio vale per energia, acqua e pane che sono, nell’epoca attuale, risorse di prima necessità e soprattutto acqua ed energia non dovrebbero essere in mani private.

La politica economica di un Governo comporta lo stanziamento di ingenti quantità di denaro per far fronte alle necessità del momento di un Paese, denaro che in molte occasioni è stato sprecato perché elargito ad aziende dei suddetti settori che non ne hanno fatto l’uso richiesto dallo Stato.

Non solo, non è accaduto di rado infatti che molti impianti normativi siano stati cuciti ad hoc a fini elettorali avvantaggiando determinati settori o lobbies.

Con l’avvento della globalizzazione i Governi sono nelle mani della finanza (e di gruppi di potere economico) e sono controllati dal sistema finanziario verso il quale sono debitori morali ed al quale devono rispondere ogni volta che si prendono delle decisioni attraverso decreti, leggi ed impianti normativi di regolarizzazione e razionalizzazione di settori strategici.

Se si volesse adottare una politica economica sociale nel senso stretto del termine, tutte le aziende dei suddetti settori dovrebbero essere statali e non rispondere alle sirene del capitalismo perché è proprio attraverso i settori strategici che uno Stato garantisce benessere ed equità ai cittadini.

Naturalmente, sic stantibus rebus, questa è una mera utopia difficilmente realizzabile nel mondo occidentale, a prescindere dalle ideologie, in quanto il Dio profitto è posto all’apice di tutto il castello e nessun passo viene mosso se non prima di aver garantito protezione alle lobbies capitalistiche.

Lobbies che come abbiamo constatato indirizzano pesantemente le politiche dei Governi che si ritrovano con le mani legate impossibilitati a garantire equità sociale.

Finché non vi sarà almeno una visione differente e lungimirante da parte dei Governanti atta perseguire le politiche per le quali si è stati chiamati ad amministrare, e decidere della vita di famiglie ed imprese, la risoluzione delle crisi passerà inevitabilmente attraverso il benestare di lobbies e gruppi di potere che non certo hanno il target di adottare politiche sociali ma il solo fine di mantenere il potere cercando di aumentare le possibilità di trarre profitto ad ogni tornata elettorale.

Purtroppo il millennium bug è diventato il capitalismo a scapito del benessere sociale diffuso, urgono governi coraggiosi.

 

Antonino Papa, 27 novembre 2022