Il diritto al voto è inoppugnabilmente la più alta manifestazione di democrazia e di esercizio della cittadinanza che ci viene riconosciuto dalla Costituzione. Anche se il suffragio universale è entrato a far parte in tempi relativamente recenti dell’ordinamento italiano, a differenza di altri paesi (come ad esempio gli Stati Uniti) in cui è necessaria una espressa manifestazione di interesse al voto (ciò che esclude a vario titolo alcune porzioni di cittadini), in Italia ad ogni residente maggiorenne è automaticamente recapitata la propria scheda elettorale.
Eppure, con la pandemia (ma non solo) abbiamo verificato come anche le procedure di voto possano incepparsi, creando un parziale scollamento della società. Nel luglio scorso, poi, il Ministro dell’interno Lamorgese – di concerto con quello della transizione digitale Colao – ha adottato il decreto che individua le modalità attuative per l’utilizzo del Fondo per la sperimentazione del voto e dello scrutinio elettronico per le elezioni politiche ed europee e per i referendum.
Si tratta del primo necessario passo per l’introduzione di una modalità di voto e scrutinio digitalizzata che non preveda necessariamente la presenza fisica dell’avente diritto. Un tale genere di provvedimento rappresenta un potentissimo strumento sia di inclusione digitale sia di inclusione sociale, essendo rivolto in particolare a cittadini all’estero, residenti (studenti o lavoratori) fuori sede, persone inferme, e chiunque abbia difficoltà a recarsi personalmente al seggio.
Ricorrere al voto digitale permette, di fatto, di estendere il pieno godimento dei diritti civili e della democrazia a chiunque ne abbia effettivo diritto, proprio mentre si sta iniziando il processo per la raccolta di firme online.
Le recenti elezioni amministrative, caratterizzate da un fortissimo astensionismo, hanno poi evidenziato un fattore su cui l’e-voting potrebbe incidere facilitando numerosi aspetti logistici dei votanti, riducendo anche i costi in termini economici e di sostenibilità per lo Stato.
Se il voto elettronico può rappresentare l’esaltazione della democrazia, i potenziali pericoli ad esso collegato possono invece decretarne un ostacolo. Avviare un tale sistema necessita di un’infrastruttura di cyber security efficiente e “a prova di bomba” che tuteli sia i dati di chi vi fa ricorso sia la legalità dell’intero processo, evitando rischi di brogli poi difficilmente verificabili.
A questo proposito, quanto avvenuto recentemente sia in Russia sia negli Stati Uniti a proposito di brogli o presunti tali, per non dimenticare il caso, un po’ diverso, ma ormai di scuola, della Florida nelle presidenziali USA del 2000, rappresentano perfettamente, e allo stesso tempo, i pro e i contro per avviare un tale sistema di voto.
Tuttavia, con tutte le precauzioni del caso, quanto avvenuto non deve intimidirci ma stimolarci a superare gli eventuali ostacoli al fine di realizzare un sistema di comprovata efficienza e sicurezza. In Europa, sono rarissimi i casi in cui il voto elettronico è effettivamente utilizzato (tra questi si ricordano alcune votazioni minori in Germania, UK e per un certo periodo in Norvegia e Olanda) e non è un caso che l’unico in cui sia effettivamente diffuso (pur con alcune farraginosità) è quello dell’Estonia (dal 2005), patria per eccellenza dell’e-government già da tempo.
Come spesso accade, in Italia ci stiamo avvicinando alle novità tecnologiche in ritardo rispetto ad altre esperienze estere (alcune già archiviate), eppure il voto digitale, magari basato su un avanzato sistema di DLT, sarebbe davvero un potenziale terzo vettore di digitalizzazione per digitalizzare il Paese assieme allo sviluppo dell’identità digitale e alla diffusione dei pagamenti elettronici.
Le tecnologie potenziali su cui lavorare che possono ridurre costi, migliorare l’efficienza e contrastare l’astensionismo già ci sono, ora tocca alla politica fare il resto per avviare i progetti e attrarre le persone alle urne.
Maurizio Pimpinella