Economia

Facebook è tossica? Momento “Big Tobacco” per Zuckerberg

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In Insider film del 1999 Russell Crowe e Al Pacino ci svelano, alla maniera di Hollywood, come le multinazionali statunitensi del tabacco per anni avessero ingannato clienti, Congresso Americano e opinione pubblica mondiale sulla reale composizione chimica delle sigarette da loro prodotte e messe in commercio, sulla capacità della nicotina e degli additivi chimici utilizzati di creare dipendenza e sulle drammatiche conseguenze nocive del fumare sui corpi dei consumatori e di chi respira fumo passivo.

Chi fosse interessato a comprendere perché il sistema mediatico USA parla di momento “Big Tobacco” per Facebook potrebbe guardare quel film e scoprire in anticipo quale sia il perimetro della sfida che attende Mark Zuckerberg.

Come ogni società che innova nel mercato, di fatto inventandone uno, la prateria che si dipana dinanzi ad essa all’inizio dell’avventura imprenditoriale appare sterminata e senza vincoli. Un selvaggio Far West dove conquistare più terreno possibile. Una corsa all’oro che non può esser frenata da leggi, regolamenti, standard, policy, per il semplice fatto che non esistono.

Per il “capitalismo degli azionisti”, definizione di Alec Ross che la mette in contrapposizione al “capitalismo degli stakeholder “ nel suo ultimo libro, I furiosi anni venti, la valorizzazione delle azioni è l’unica regola che vige per questo tipo di imprenditori.

A Menlo Park lo sanno bene. La lezione di Milton Friedman, l’economista della scuola di Chicago, è stata compresa fino in fondo: “Le imprese hanno una e una sola responsabilità: usare le proprie risorse nelle attività progettate per aumentare i profitti fino a quando rimangono entro le regole del gioco”.

Rastrellare i concorrenti e assorbirli (Instagram, WhatsApp ricordate quando erano unicorni autonomi?), creare una legge globale al di sopra delle legislazioni nazionali grazie alla forza vincolante dei termini di servizio ai quali gli utenti devono sottostare, utilizzare la forza delle azioni di lobby per superare gli inciampi sul cammino (il caso Cambridge Analytica è emblematico) e rendere le regole del gioco il meno stringenti possibile.

Ecco come il modello del capitalismo degli azionisti fino ad ora ha consentito la crescita sterminata di un’ azienda che ha saputo certo rivoluzionare il concetto stesso di connessione interpersonale a livello globale, ma a costo di stravolgere la percezione di sé di intere generazioni. Ora, come i dirigenti delle società di tabacco prima che la verità venisse svelata, Facebook si trova a dover rispondere ad una semplice domanda che sale forte dall’opinione pubblica americana dopo le rivelazioni dell’ex manager, Frances Haugen rilasciata al Senato americano: da quanto tempo eravate consci che le vostre applicazioni erano tossiche per il sano sviluppo psicofisico degli adolescenti?

La stampa americana sente odore di sangue. Dopo gli scoop del Wall Street Journal che ha pubblicato per primo i documenti interni ora è il Time a mettere Mark Zuckerberg nuovamente in copertina. Ma questa volta né per incoronarlo del ruolo di uomo dell’anno come nel 2010, né come leader fra le cento persone più influenti del globo insieme alla moglie Priscilla nel 2016. Questa volta in copertina davanti alla bocca dell’ex ragazzino prodigio di Stanford c’è la tendina tanto familiare agli utenti di Facebook in cui campeggia la domanda: Delete “Facebook”?

In molti sono convinti che il social sapesse da diverso tempo di essere un ambiente tossico, in particolare per le adolescenti. Vi è il sospetto che Facebook abbia appurato in un studio riservato e commissionato dallo stesso fondatore che un’adolescente su tre si sente più a disagio con il proprio corpo dopo aver scrollato il proprio profilo Instagram.

Ora deve risponderne al Congresso, che deciderà dopo la deposizione della Haugen se avviare o meno una commissione d’inchiesta, e all’opinione pubblica americana. Sapere e non intervenire è un atto eticamente riprovevole. Questa similitudine di comportamento dunque accosta i manager che negli anni ’70 del ‘900 guidavano le Big Tobacco a quelli che guidano oggi Facebook.

Una correlazione di comportamenti spregiudicati che ha innescato la terribile associazione del medesimo pericolo tossico che provocano le sigarette e l’utilizzo dei social. Come i primi non scoraggiarono il consumo di tabacco anche tra gli adolescenti perché “sapevano che prima un bambino diventava dipendente dalle sigarette e con più probabilità guadagnavano un cliente per tutta la vita”, così Facebook è consapevole che ogni ragazzino introdotto all’utilizzo della sua identità social diventerà un frequentatore assiduo del sito.

Più utenti, più inserzionisti. Più tempo dedicato ai social, più pubblicità. Più profitti, più valore alle azioni. Azionisti felici, stakeholder intossicati e ignorati. Quando un mercato è stato creato e dà da vivere a centinaia di migliaia di persone alla fine può essere anche regolamentato, ma difficilmente potrà essere ricondotto ad una sfera di innocuità.

Sulle sigarette che fumano adulti e anche gli adolescenti, in barba ai divieti, c’è scritto “nuoce gravemente alla salute”, ma questo non impedisce ancora a milioni di persone nel mondo di agire contro la propria salute. Anche se arrivassimo ad avere la stessa frase sovraimpressa ogni volta cha apriamo il nostro profilo social, quanti sarebbero dissuasi dall’utilizzarlo?

 
Mark Zuckerberg non potrà essere cancellato. Sono state sufficienti sei ore di down del suo ecosistema digitale per far comprendere alle società e ai governanti di tutto il pianeta, Cina esclusa, quando ormai la nostra vita sia interconnessa con i servizi che operano sotto la sua F. 

Questo non dovrebbe impedire ai sistemi democratici di pretendere da Facebook tutte quelle migliorie delle funzioni delle proprie app per ricondurre in un alveo di minor tossicità la sua creatura. Che poi questo avvenga dopo aver ignorato decine di denunce di esperti di tecnologia, psicologi, medici e filosofi sulla pericolosità dei social per gli adolescenti, ma solo a seguito delle dichiarazioni di un insider è del tutto comprensibile. 

 
Del resto siamo in California, estremo lembo del Far West, e qui si fa alla maniera di Hollywood.
 
 
Antonello Barone