Quando sentiamo “minacce informatiche” tendiamo a pensare a qualcosa di limitato ai dispositivi elettronici, pericoloso forse, ma non in grado di influenzare veramente la realtà di tutti i giorni. Quello che è accaduto nei giorni scorsi però dimostra come le cose siano ben diverse: un gruppo di hacker ha attaccato la Colonial Pipeline Company, principale distributrice di carburanti per gran parte degli USA, costringendo la compagnia a sospendere le forniture e gettando l’intero Paese nel panico.
Un attacco devastante
In data 8 Maggio 2021 la Colonial Pipeline, azienda americana che gestisce 8.850 chilometri di condutture ritenute essenziali per rifornire i grandi centri abitati nel Sud Est degli Stati Uniti, ha dovuto sospendere improvvisamente le forniture lasciando in difficoltà buona parte della East Coast. La causa di tale azione è stata un attacco ransomware da parte del collettivo DarkSide, un gruppo di hacker che dichiara di attaccare solo obiettivi facoltosi e di donare parte dei proventi ad alcune organizzazioni no profit, quasi a voler imitare in chiave moderna il mito di Robin Hood.
A fronte di questa situazione, che ha visto gli USA trovarsi di colpo 2,5 milioni di barili al giorno di petrolio raffinato in meno, il Presidente Joe Biden è intervenuto per indire uno stato d’emergenza: per cercare di superare la crisi sono state attivate alcune misure straordinarie come il trasporto stradale del carburante e l’estensione agli autotrasportatori americani delle ore di lavoro giornaliere per facilitare le consegne. Nonostante queste precauzioni dopo soli due giorni dall’inizio del blocco i prezzi del greggio sono saliti sempre di più arrivando a toccare massimi che non si vedevano dal 2018.
Adesso, dopo quasi una settimana di blocco, sembra che la Colonial Pipeline abbia dato il via alle operazioni di ripristino e ripreso la distribuzione di carburante, che dovrebbe tornare normale entro i primi giorni della prossima settimana. In ogni caso pare che tale risultato non sia il frutto degli sforzi delle varie agenzie di intelligence americane, prima fra tutte l’FBI, ma della decisione della compagnia di cedere al ricatto e pagare il riscatto richiesto dagli hacker: ben 5 milioni di dollari in criptovalute.
Quando il reale passa dal virtuale
Questo evento dimostra ancora una volta quanto la mentalità generale non sia ancora al passo coi tempi riguardo le tecnologie digitali. Il fatto che il sistema informatico di uno dei più grandi oleodotti del mondo sia stato violato senza particolari sforzi da un gruppo di hacker semisconosciuto, paralizzando un intero Paese, dovrebbe farci riflettere su come fin troppo spesso non venga dato il giusto peso allo stretto legame che ormai intercorre tra mondo virtuale e reale. Il digitale non è più solo uno strumento slegato dall’universo fisico, ma un’estensione della nostra società e come tale ogni cosa che avviene sul web ha delle conseguenze anche al di fuori della rete.
Lasciando un attimo da parte la questione morale, sulla quale non voglio esprimermi dato che non ho elementi sufficienti per giudicare, qui non stiamo parlando di un attacco terroristico o di un atto di guerra: una “semplice” estorsione si è trasformata in una crisi di Stato, con tanto di intervento del Presidente in persona.
Di fronte alla realtà dei fatti non possiamo più far finta di niente: se una delle più grandi realtà economiche di uno dei paesi più tecnologicamente sviluppati al mondo è un bersaglio così facile, cosa impedisce che un domani una cosa simile non capiti da un’industria italiana? È necessario smettere di pensare in termini pre-digitali e cominciare subito ad adeguarsi a quelle che sono le minacce odierne: il mondo digital non è un’entità a sé stante e se non iniziamo a considerarlo parte integrante della nostra vita e ad agire di conseguenza potremmo presto trovarci in una situazione dalla quale non potremo riprenderci.
Umberto Macchi