C’è un bug nel sistema democratico italiano.
Un gigantesco errore di sistema conclamato ed evidente, ma apparentemente impossibile da risolvere. Il sistema costituzionale dello stato di diritto fondato sulle regole liberaldemocratiche affida ai partiti il compito di essere la cinghia di trasmissione della sovranità popolare attraverso la rappresentanza parlamentare scaturita dal voto e concretizzare questa volontà nelle forme e nei limiti previsti dalla carta.
Eppure un sistema democratico può affidare questo compito a soggetti di rango costituzionale che non adempiono in alcun modo ai limiti e alle forme che la costituzione impone loro?
L’articolo 49 della costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.” Se per anni è apparso lampante il tema della “democraticità esterna” previsto dalla norma, ovvero la possibilità dei cittadini di associarsi nel modo più libero e spontaneo attraverso lo strumento dei partiti e dei sindacati per concorrere alla vita democratica e sociale del paese, solo negli ultimi decenni si è accompagnata una nuova riflessione sul tema della “democraticità interna” che i partiti dovrebbero garantire.
Ovvero sul dovere dei partiti di strutturare la propria vita organizzativa ispirandosi ai principi stessi della democrazia. L’articolo, nonostante i diversi spunti di riflessione dottrinaria che ne sono scaturiti per la sua corretta attuazione, – fra i diversi è utile rileggere le argomentazioni di Giuliano Amato nella Nota su una legge sui partiti in l’attuazione dell’art. 49 della Costituzione redatta per i lavori durante la XVI legislatura – non ha visto mai l’approvazione di una legge organica, al contrario di altri stati europei come ad esempio la Germania che dal 1967 ha una “Parteiengesetz”, legge che regola in maniera estensiva l’ordinamento dei partiti e dà attuazione puntuale alla previsione costituzionale sul loro ruolo e i loro doveri.
In particolar modo sul tema sia del finanziamento pubblico (regolato con contributi pubblici in base ai voti ricevuti), sia di quello privato (è prevista una rendicontazione contabile pubblica per le donazioni), tanto che la costituzione tedesca prevede che i partiti “devono rendere conto pubblicamente della provenienza e dell’utilizzazione dei loro mezzi finanziari e dei loro beni”.
I partiti italiani non hanno voluto darsi una legge di riferimento.
Del resto è facile capirne il motivo: sarebbero dovuti essere loro stessi attraverso i propri rappresentanti in parlamento a scrivere e votare una norma che di fatto avrebbe limitato la loro enorme autonomia, se non il loro vero e proprio arbitrio di soggetti non soggetti a regole democratiche interne, ma capaci di “occupare” tutte le istituzioni democratiche della Repubblica.
Come se il tacchino avesse desiderio di invitare ospiti per il giorno del ringraziamento. Così grazie a questa non casuale dimenticanza che dura dalla promulgazione della costituzione è stato possibile assistere in Italia, dopo la caduta del muro di Berlino coincidente con la fine del sistema di potere bloccato della “Repubblica dei partiti”, alla nascita e alla dissoluzione di decine di forze politiche senza una vita democratica interna; a partiti padronali retti sulla forza economica del leader o del momentaneo consenso elettorale del capo di turno; a partiti guidati da politici incapaci di assorbire i colpi delle sconfitte interne per la leadership.
Una stortura che va in controtendenza rispetto agli standard degli ordinamenti internazionali che regolamentano la vita dei partiti con norme ben definite di democrazia interna, accompagnate anche da adeguati processi di democrazia deliberativa e consultazione pubblica, così da sfavorire la nascita di “partiti veicolo”, espressione esclusiva di poteri personali del fondatore o di piccole oligarchie.
La posizione di Mario Draghi
Il presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi nel suo discorso di fiducia a parlamento ha evitato di infierire sui partiti, incapaci di trovare uno sbocco politico alla crisi. Dopo l’appello del presidente Mattarella il governo che è nato ha tirato fuori dall’armadio degli abiti istituzionali della Repubblica uno spezzato utilizzato una sola volta dal Carlo Azeglio Ciampi nel 1993: un governo tecnico-politico in cui i partiti non sono stati né commissariati (come fece Monti nel 2011), né ribaltati (come fece Dini nel 1995).
Draghi ha chiesto ai partiti di fare non un passo indietro, ma anzi di fare un passo in avanti per gestire in modo congiunto la crisi sanitaria, sociale ed economica del paese. Dunque ha offerto loro una nuova responsabilità di governo, ma anche di autogoverno. Si è forse aperta una finestra di opportunità, prima della elezione del nuovo presidente della Repubblica nel 2022. Non certo per riformare il sistema istituzionale con una rivisitazione della forma di governo della Repubblica, dopo i fallimenti dei referendum confermativi del 2006 e del 2017, ma almeno per dare un perimetro organico al ruolo dei partiti, così da renderli protagonisti nuovamente legittimati per il futuro della democrazia italiana.
Normare l’articolo 49 della costituzione potrebbe portare anche a una nuova riflessione sul tema del sostentamento economico dei partiti e favorire così una riconsiderazione dell’istituto del finanziamento pubblico ai partiti e una regolamentazione di quello privato.
Come ha sottolineato giustamente Marco Follini su La Stampa: “La via della risalita dei partiti è un cammino e non un balzo, un progetto e non uno slogan, un’idea e non una battuta, un esercizio di pazienza e non di destrezza.”
I partiti sono chiamati ad una sfida importante per il futuro del paese, partire dalla propria rigenerazione darebbe il senso della comprensione della complessità del momento e dell’opportunità che non può essere sprecata. Rileggere e attuare l’articolo 49 per offrire una piattaforma democratica funzionale alle nuove generazioni chiamate nei prossimi anni a gestire il peso di un enorme debito pubblico, di una crisi ecologica degli impatti imprevedibili già nel breve termine e di un sistema produttivo e del lavoro da rifondare. I partiti per una volta siano parte della soluzione e non del problema.
Antonello Barone