Già nel precedente articolo “Italiani sospesi nel mondo di mezzo” si era trattato l’argomento del “disagio” che gli italiani tutti senza esclusione di alcuna categoria sociale, vive dall’esplosione della pandemia da covid-19 e di quanto vi fosse bisogno di specialisti del settore della salute mentale, un “disagio” che in questi ultimi giorni torna a farsi sentire in modo preoccupante.
Non è mai piacevole “sciolinare” tanti numeri in un articolo, elemento che rende la lettura di un’aridità inaudita ma in questo caso specifico ne diventa un passaggio inevitabile.
La pandemia da Covid – 19, portatrice oltre che di una straordinaria emergenza sanitaria, ha portato con sè il cambiamento radicale delle abitudini sociali, ha provocato l’impennata verso il basso dell’economia non solo italiana (PIL -8,9% nel 2020) ma mondiale.
Ripercussioni economiche, emotive e culturali, rare combinazioni di una serie di fattori avversi che hanno scatenato quella che si può proprio definire come la “tempesta perfetta” capace di agire con il passare del tempo come un detonatore senza precedenti sul malessere psichico dell’individuo.
Da autorevoli fonti sanitarie emerge come metà delle persone contagiate manifesti disturbi psichiatrici, il 42% ansia o insonnia, il 28% disturbi post-traumatici da stress e il 20% disturbi ossessivo-compulsivi, per non dire che il 32% di chi ha conosciuto la malattia in prima persona sviluppa sintomi depressivi.
Ma il disagio non risparmia neanche chi non è stato toccato dal virus fra i parenti dei circa 96.600 decessi, il 10% purtroppo non sarà immune dalla sindrome della depressione e, tutto ciò trova terreno fertile soprattutto in quei contesti familiari dove si registrano bassi redditi, per peggiorare tra la categoria dei disoccupati specie over 50.
La stima del Ministero della Sanità è che i nuovi casi di depressione in Italia saranno circa 150.000, causati dalla perdita del lavoro per il covid-19 e tra chi non riesce a modificare il suo stato di disoccupato.
Le donne, i giovani e gli anziani, sono i soggetti più a rischio depressione.
Le donne, già vivevano uno stato di disagio, molte di loro purtroppo dovuto anche a situazioni familiari border – line, ne sono conferma i troppi femminicidi di cui si racconta nelle cronache nere e, vergognosamente scaduti in fatti quasi “ricorrenti” a causa della loro molteplicità.
Le donne, sono state le più toccate dagli effetti del virus perché hanno dovuto e continuano a sopportare il doppio degli uomini, tra lavoro e cura della famiglia durante i vari lockdown.
I giovani che con la chiusura delle scuole e università hanno visto la loro vita catapultata nel totale stato “virtual/internauta”, patiscono la mancanza diretta delle relazioni interpersonali, un fattore decisivo per il loro sviluppo psichico, parliamo di quella fascia di età che va dai 16 ai 30 anni che stanno diventando anche loro troppo protagonisti delle pagine di cronaca nera tra suicidi, aggregazioni violente…
Gli anziani over 65, i più fragili, e terrorizzati dal virus al punto da aver praticamente azzerato la propria vita sociale, hanno timore di finire in ospedale, e di non avere nessuno accanto al momento del trapasso, hanno visto la loro vita cambiare radicalmente, e sono stati altrettanto abili nell’imparare ad utilizzare le nuove tecnologie per poter rimanere in contatto con i familiari.
La mancanza di certezze dovuta a continue ed improvvise restrizioni che relegano l’individuo ad una vita che si divide tra casa e ufficio per i più fortunati, se si considera che la maggior parte dei lavoratori sono da un anno in smart working chiusi tra le mura domestiche; la paura della perdita del posto di lavoro, e dell’impoverimento, a lungo andare non può che portare sull’orlo di una crisi di nervi favorendo i tanti e diversi disturbi mentali tra la popolazione.
Le famiglie in Italia che versano in uno stato di precarietà economica sono 2,1 milioni e continuano a crescere velocemente.
La necessità di potenziare strutture idonee e formare specialisti capaci di fronteggiare questo fenomeno in espansione è quanto mai indispensabile, come i primi ad essere sensibilizzati nell’individuare queste patologie dovrebbero essere i medici di famiglia.
E allora la domanda nasce spontanea che società del domani ha creato il covid 19?
E se è pur vero che sono i numeri a fare la politica, questa volta è quest’ultima che deve affrettarsi a ridimensionare dati cosi inquietanti e riportare la popolazione nel più breve tempo possibile ad una vita sociale il più normale possibile, magari attraverso interventi mirati che siano anche ulteriori restrizioni ma efficaci a limitare il più possibile i contagi anche da eventuali varianti, nel contempo favorire i ristori a quante più imprese possibili e procedere ad una massiccia somministrazione di vaccini potendo utilizzare strutture al di fuori degli ospedali (necessari ad altre emergenze) come palestre, campi sportivi, tutti quegli spazi che oggi sono inutilizzati ma che tornerebbero di certo utili alla collettività.
D’altra parte per scomodare Aristotele, “l’uomo è un animale sociale”, quindi, assolutamente incapace di vivere isolato dagli altri, l’assenza di relazioni sociali non aiuta lo sviluppo dell’identità personale e non aiuta l’esercizio della ragione.
Lorena Polidori