Economia

Il gas di Putin o quello di Al-Sisi? Fra etica e ragion di stato

Economia
Globalizzazione, dazi, etica. La guerra mossa da Putin in Ucraina sta cambiando le regole del gioco geo-strategico nato dopo la caduta del muro di Berlino. La globalizzazione spostando la produzione nei paesi emergenti ha abbattuto il sistema dei dazi. L’interscambio commerciale internazionale ha legato paesi lontani non solo geograficamente, ma anche per cultura ideologica. La merce era solo merce. Che essa venisse estratta o prodotta in uno stato asiatico sotto dittatura o con regole sindacali inesistenti o con un regime teologico che riducesse la donna a mera comparsa della società, al consumatore occidentale meno avveduto davvero importava poco.
 
Accessibilità del prezzo di acquisto. Questo era l’unico elemento di interesse. E che questo prezzo accessibile frutto di lavoro sottopagato, di regole di sostenibilità ambientale inesistenti sia stato la mela avvelenata che ha prodotto allo stesso tempo lo stravolgimento del sistema del mercato del lavoro occidentale davvero poco ha interessato le nostre classi dirigente e imprenditoriali. 
 
La globalizzazione del resto vista con occhi non occidentali, come afferma Alec Ross, ha prodotto l’emersione dalla povertà di un quantità di persone che vivono nei paesi emergenti impressionante. Eppure oggi la guerra ci pone nel dubbio etico di cosa sia necessario fare con il gas e il petrolio russi. L’Europa dopo che l’Usa ha già preso la sua decisione, si interroga se sia etico acquistare ancora da Putin l’elemento cardine sul quale si regge il nostro sistema produttivo e la nostra vita domestica.
 
Dall’inizio della guerra gli stati dell’Unione Europea hanno staccato un assegno da oltre 35 miliardi di euro in favore del Cremlino. Soldi che alimentano il sistema di potere di Putin, che alimentano la guerra che egli ha mosso contro il desiderio del popolo ucraino di vivere in una società libera e occidentale. Soldi che servono per bombardare città, annientare civili, disarticolare l’economia e la società di uno Stato europeo. 
 
Dunque è etico fare affari con un carnefice? Fare affari con un nemico dei nostri valori? Con il politico che profetizza l’annientamento dell’ideologia democratica che regge la nostra società aperta e libera? Primum vivere. Oggi senza gas russo l’Europa si fermerebbe. Oggi senza il gas russo la Germania e l’Italia non avrebbero il tempo necessario per definire e attuare una strategia di approvvigionamento energetico che ci sleghi dal giogo russo. 
 
Ma ecco giungere il paradosso etico. Da chi possiamo comprare il gas che sostituirà quello che ci vende il tiranno? Da altri stati autocrati, dittatoriali, avulsi ai principi delle nostre democrazie? Per Enrico Letta per esempio il gas che l’Eni estrarrà nel mar Mediterraneo al largo dell’Egitto dopo anni di ricerche è gas sporco. Un gas che infanga la memoria del nostro Giulio Regeni. Che lede la battaglia per la libertà di Zaki. E cosa dire degli accordi che il nostro governo sta stringendo in giro per il mondo: in Congo, Angola, Qatar. Forse sono queste nazioni nelle quali è specchiata la reputazione delle loro classi dirigenti o le strutture politiche sono rette dai nostri medesimi principi? 
 
La regola etica da sempre si scontra con la ragion di stato. Alcuni dei nostri politici sembrano averlo dimenticato. Entrare in questo schema mentale e voler essere rigorosi nel rispettarlo in breve tempo ci porterebbe a non importare più nulla da quasi nessuna nazione fuori dall’occidente e fermare l’esportazione del nostro Made in Italy a quelle élite dei paesi non democratici che amano ostentare i nostri prodotti.
 
La scelta di organizzarsi velocemente per cambiare la nostra “dieta energetica” azzerando l’apporto di energia russa non può basarsi su valutazioni etiche, ma solo su valutazioni geo-strategiche e di opportunità. Al contrario di Al-Sisi, le cui responsabilità sono chiare e limitate a soli due, dolorosi certo, ma specifici casi che riguardano i rapporti con il nostro stato, quelle di Putin sono responsabilità abnormi che dovranno essere giudicate dai tribunali della storia. Ma questo potrà accadere solo se la sua visione egemone, espansionistica, imperiale, anti-occidentale e antidemocratica sarà fermata.
 
Dopo l’attacco all’Ucraina abbiamo deciso di farlo per procura. Difendiamo il nostro sistema sostenendo sul limite dell’ipocrisia economicamente e militarmente un popolo accredito. Il passo successivo per evitare la guerra diretta sarà avere la forza di chiudere il rubinetto degli euro che inviamo a Mosca, prima che lui decida di chiudere al momento per lui più opportuno il rubinetto del gas.
 
E se questa strategia passa per accordi con Egitto, Qatar, Algeria, Congo e così via con stati non democratici ed eticamente discutibili non possiamo che accettarlo. La Francia piena di centrali nucleari non ha questi problemi. Altre nazioni con i rigassificatori sufficienti  realizzati negli anni per ricevere gas liquido non hanno questi problemi.
 
Noi abbiamo fatto altre scelte, democraticamente valide, certo, ma evidentemente errate alla luce dei fatti. Ora le conseguenze vanno gestite. Con l’obiettivo di avere energia per alimentare il nostro sistema produttivo, le nostre case. Ma soprattutto per non essere sotto il ricatto di chi non solo vive in una società non democratica, ma pretende di rendere tale anche la nostra. 
 
Antonello Barone, 16 aprile 2022