Economia

Il giusto equilibrio tra perseverare e il desistere

Rassegna stampa del 16 luglio 2018

Una scelta molto difficile da fare nella vita è quando perseverare in ciò che si sta facendo o quando “lasciar perdere”. Da un lato la perseveranza è alla base del conseguimento del successo in ogni campo.

Anche coloro che padroneggiano il loro mestiere hanno momenti di dubbio, che poi però superano decidendo spesso di continuare. Se vuoi affermarti nel mondo del lavoro o vuoi assicurarti una vita privata soddisfacente, tenacia e risolutezza sono gli ingredienti vincenti.

D’altro lato dire di non “mollare mai, in qualunque situazione” è un consiglio pericoloso.

L’esperienza dimostra che chi si fa strada è pronto a modificare ciò che sta facendo a condizione che si renda conto che non funziona.

Una buona sintesi di questo dilemma è dire che la vita richiede l’utilizzo di entrambe le strategie e che l’abilità dell’individuo sta nel decidere correttamente quando cambiare e quando invece persistere.

 

LEZIONI DA IMPARARE

Concentrandoci sul mondo del lavoro, una delle decisioni più delicate che i manager devono prendere è se e quando cambiare azienda.

Al riguardo può essere utile dare uno rapido sguardo ai risultati di una indagine che Korn Ferry, una società leader nella ricerca di personale, ha recentemente condotto su circa 5.000 manager, chiedendo le ragioni per cui essi intendevano cambiare lavoro.

Ecco le prime tre motivazioni emerse:

  • “Sono annoiato, ho bisogno di nuovi stimoli” con il 33%;
  • “La cultura aziendale non fa per me” con il 24%;
  • “Ho perso il lavoro o mi aspetto di perderlo” con il 21%.

 

Lasciando da parte quest’ultima motivazione che è facilmente giustificabile, le altre due (che contano insieme per il 57% del campione) meritano una riflessione. Esse a mio avviso sintetizzano una serie di ragioni inespresse, la più importante delle quali è la scontentezza generata dalla considerazione di avere in quel momento scarse opportunità di sviluppo e di carriera.

In verità quei manager non sono necessariamente su un itinerario professionale sbagliato.

Il problema è che c’è così tanta polvere sospesa nell’aria che li circonda da impedirgli di vedere l’itinerario. E la frustrazione aumenta quando qualcuno dei loro colleghi viene “promosso” o fa una scelta di cambiamento che poi i fatti dimostrano corretta. 

 

Ho detto che le persone di successo sono pronte a modificare ciò che non funziona. Se però l’itinerario “non è visibile”, esse non possono dire cosa funziona e cosa no. In quelle circostanze cambiare azienda e cambiare vita potrebbero dimostrarsi la decisione sbagliata.

Per un ulteriore chiarimento vi propongo la breve storia che segue nella forma di una testimonianza anonima.

 

PICCOLA STORIA INSEGNA

Volevo lasciare il mio lavoro, le mie relazioni…volevo cambiare la mia vita. Prima però decisi di andare nella solitudine del bosco per avere un consiglio finale da un mio vecchio amico eremita, che si era ritirato lì in una capanna.

“Saggio – dissi – puoi indicarmi una buona ragione per non lasciare adesso il mio lavoro?”

La sua risposta mi sorprese…

“Guardati intorno, – egli mi disse – vedi le felci e i bambù?”  

“Sì”, io risposi.

“Quando ho piantato i semi di felci e di bambù, mi sono preso molta cura di loro. Li ho esposti alla luce, gli ho dato l’acqua. Il risultato? Le piantine di felci sono velocemente spuntate fuori della terra e il loro verde brillante ha coperto il pavimento. Ma nulla è nato invece dai semi dei bambù. Io però non ho rinunciato per questo ai bambù. Nel secondo anno poi le felci sono cresciute ancora più ricche e rigogliose. Ma di nuovo nulla è nato dai semi di bambù. Così è stato anche per il terzo e il quarto anno; ciononostante io non ho mai pensato di abbandonare i semi di bambù. Il quinto anno poi però alcuni sottili ramoscelli di bambù sono emersi dalla terra. In confronto con le felci quei ramoscelli erano piccoli e insignificanti, ma sei mesi più tardi le nuove piante di bambù toccavano i tre metri di altezza. Insomma, i bambù avevano speso cinque anni per far crescere le radici. Quelle radici avevano irrobustito le piante e fornito loro il nutrimento per sopravvivere e per poi esplodere nel loro sviluppo.”

Egli mi chiese a questo punto: “Ragazzo mio, ma tu lo sai che tutto il tempo in cui sei stato a soffrire e lottare in azienda hai in realtà fatto crescere le tue radici? Ti suggerisco di non confrontarti con gli altri: il bambù ha una finalità diversa rispetto a quella della felce. Eppure entrambe le piante conferiscono bellezza alla foresta. Non disperare, il tuo tempo verrà. Anche tu diventerai una pianta molto alta.”

“Quanto alto potrò diventare?”

“Così alto quanto vorrai…” fu la risposta.

Lo ringraziai e mi allontanai uscendo dal bosco. Portavo con me adesso una bella storia e con essa una ragione (da considerare attentamente) per non lasciare il mio posto di lavoro.

 

LESSON LEARNED

Devo ammettere che la storia che vi ho raccontato propone una cautela nella scelta che oggi è piuttosto insolita. Il modo di pensare dominante sostiene che è meglio fare alcune cose e patirne il rimorso, piuttosto che non farle per poi rimpiangerle.

“Il più grande errore che puoi fare nella vita è quello di temere continuamente di commetterne uno” ha detto Elbert Hubbard, il noto scrittore americano. Ma questa impostazione non dovrebbe però mai scadere in un approccio dissennato che suggerisca di non riflettere attentamente su quello che si lascia, abbastanza “certo”, in favore di quello che si dovrebbe trovare, per definizione “incerto”.

Io penso che questa “spinta a osare” tipicamente esaltata nella nostra epoca sia nata per controbattere l’inerzia nella quale la maggioranza degli esseri umani si dibatte per paura e per pigrizia.

Inerzia che è molto ben descritta nell’Antologia di Spoon River, una raccolta di versi del poeta americano Edgar Lee Masters dove ogni poesia racconta in forma di epitaffio la vita di uno degli abitanti di Spoon River, immaginario paesino del Midwest, i quali sono sepolti nel cimitero locale. L’epitaffio esposto sulla tomba di George Gray esprime particolarmente bene lo stato d’animo di quelle persone “vittime dell’inerzia”:

 

George Gray

 

Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia,
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio.
È una barca che anela al mare eppure lo teme.

Antologia di Spoon River (Mondadori, 2001), trad. it. Antonio Porta

 

Un ulteriore commento: la storia che vi ho raccontato certamente non consiglia di vivere come era vissuto George Gray, ma di moderare gli impulsi e l’entusiasmo delle aspirazioni con una giusta dose di prudente valutazione della realtà.

 
Edoardo Lombardi, 27 marzo 2022

 

 

 

 

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