Il mondo sembra essere impazzito. Tra un po’ impazziranno anche i numeri sulle bollette che stiamo per ricevere ed impazziranno anche i contatori delle pompe di benzina. Insomma tutto sta correndo verso l’alto.
La sensazione di questi ultimi giorni è che manchi tutto. Dai carburanti a qualunque altra fonte di energia, dalle materie prime alimentari ai generi di prima necessità. Salgono i prezzi di articoli di ogni genere e servizi persino della carta igienica. E’ come se tutte le fabbriche del Pianeta avessero smesso di funzionare e non è vero. L’avevano fatto durante il disastro del Lockdown, ma ora funzionano a pieno regime. Tuttavia ci si trova a combattere la pandemia.
Salgono i prezzi su oggetti di uso quotidiano. Il gigante alimentare Unilever ha avvertito di essere in difficoltà di approvvigionamento. Il produttore di saponette Dove e barrette di gelato Magnum ha aumentato i prezzi di oltre il 4% in media nell’ultimo trimestre, il balzo più grande dal 2012 e ha segnalato che i prezzi continueranno ad essere alti anche per il prossimo anno. Un ritornello simile è arrivato da Nestlè, Procter&Gamble e Danone, i cui prodotti dominano le corsie dei supermercati e gli armadietti della cucina.
Le aziende stanno affrontando un terribile mix di sfide. La catena di approvvigionamento, i costi più elevati per energia, materie prime, imballaggio e spedizione. Mentre molti guardano con fiducia nel medio lungo periodo in moltissimi, tra analisti, commentatori ed economisti guardano ai prossimi mesi (quelli più vicini ) con non poca apprensione. Il prossimo Natale potremmo ricordarcelo davvero per le cose che non saremo riusciti ad avere.
Il rialzo dei prezzi delle materie prime, del gas, del petrolio e di componenti indispensabili come i semiconduttori sta avendo un impatto importante sia sull’inflazione che sulla disponibilità stessa di alcuni prodotti, soprattutto quelli tecnologici.
Ma non sono esenti anche altri ambiti, e tra questi, come sempre accade quando si parla di materie prime, c’è quello di prezzi degli alimentari.
Da TrueNumbers ci forniscono un’analisi dettagliata di quello che sta avvenendo e di come quest’effetto si stia manifestando
Il prezzo del grano è salito del 41%. Non arrivando più grano dal Canada tutti stanno richiedendo quello Australiano. Gli importatori prenotano in anticipo i carichi. I porti del paese sono al completo fino alla fine di dicembre per il raccolto che sarà realizzato da novembre in poi. Anche la produzione di gennaio è praticamente finita. Gli acquirenti ora guardano alle produzioni di febbraio e marzo. I meteorologi australiani il mese scorso hanno aumentato i loro obiettivi di produzione di grano a 32,6 milioni di tonnellate per la stagione che si concluderà il 30 giugno 2022, il che lo renderebbe secondo solo al raccolto record della scorsa stagione del raccolto più prezioso del paese.
Cereali e oli. Nel primo caso si è arrivati a un incremento medio per il 2021 del 27% rispetto al 2014-2016. Solo nel 2008 vi era stata una fiammata maggiore. Ma anche qui analizzando i numeri mensilmente emerge come a settembre l’aumento sia stato del 32,5% rispetto allo stesso benchmark, del 2% su agosto e di ben il 27,3% sullo stesso periodo del 2020. Non è un caso che anche nel nostro Paese vi sia preoccupazione per le conseguenze che questo potrà avere sulla produzione di pasta e sul suo costo ai pastifici e al consumatore”.
I microchips. Negli ultimi mesi i microchip sono passati da prodotti preliminari facilmente disponibili a merce rara ambita e risorsa strategica nella lotta globale per il potere e la prosperità. Pensate che un’ ‘auto moderna oggi ha circa tremila microchip che governano di tutto, dalla frenata al climatizzatore, dalla gestione del motore al movimento dei sedili. Anche se fondamentali per l’auto, solo una minima parte dei microchip prodotti nel mondo finiscono sulle quattro ruote. Basti dire l’azienda leader mondiale di questo settore – la Tsmc – destina al mondo dei motori solo il 3% dei suoi chip: il resto è destinato alle aziende di telefonia, pc e telecomunicazioni.
Come reagiscono le case automobilistiche?
C’è addirittura chi rinuncia ai cruscotti digitali tornando a quelli analogici (come Stellantis), chi taglia l’orario di lavoro (come Mercedes) e chi, come Volkswagen, blocca la produzione: 100.000 auto in meno nel 2021 e altrettante nel 2022. Clamorosa infine la decisione del gruppo Jaguar e Land Rover, in mano all’Indiana Tata, che ha rivisto al ribasso il numero di vetture in uscita dai suoi stabilimenti: meno 70 per cento solo nel Regno Unito.
Ma i veri rincari sono quelli energetici.
Le scorte presso il più grande deposito di greggio degli Stati Uniti si stanno rapidamente avvicinando a livelli criticamente bassi. L’ultima volta che è successo, il greggio costava più di 100 dollari al barile. I serbatoi di stoccaggio a Cushing, in Oklahoma, richiedono un livello minimo di petrolio per mantenere le normali operazioni, che i commercianti generalmente ritengono essere di circa 20 milioni di barili. Insolitamente per questo periodo dell’anno, le scorte sono diminuite di oltre 4 milioni di barili nelle ultime due settimane a 31 milioni e si prevede che continueranno a diminuire rapidamente a causa dell’insaziabile domanda mondiale di greggio dolce leggero statunitense.
È un’incredibile inversione rispetto allo scorso anno, quando la pandemia ha provocato un eccesso di petrolio così grande che i commercianti hanno fatto ricorso a immagazzinarlo in petroliere in mare. Il prelievo, guidato da una rapida ripresa della domanda, è stato esacerbato da una crisi energetica che ha spinto i compratori europei e asiatici a caccia di barili più economici.
Nelle prossime settimane, è probabile che le scorte scendano ulteriormente al minimo operativo, hanno affermato i commercianti di alcuni dei più grandi commercianti di petrolio del mondo, spingendo il mercato a diventare ancora più rialzista.
Il rapido esaurimento di Cushing segnala quanto siano scarse le forniture globali di petrolio e minaccia di spingere i prezzi ancora più in alto rispetto ai livelli attuali. L’aumento dei prezzi del petrolio sta già facendo aumentare i costi per il carburante stradale, l’attività di trasporto merci e i viaggi aerei e alimentando l’inflazione proprio come molti paesi si stanno appena riprendendo dalla crisi economica causata dalla pandemia.
Intanto il costo della benzina cresce giorno dopo giorno ed è arrivato a 1,734 euro al litro. Dal 2014 non saliva a questi livelli. Forse pochi immaginavano all’inizio dell’emergenza che la pandemia e le sue conseguenze ci avrebbero riportati indietro a fenomeni economici che ritenevamo quasi scomparsi. Come l’inflazione.
Leopoldo Gasbarro