La vera riforma fiscale non ha ancora preso forma, ma i vampiri della sinistra hanno già morso al collo imprese e partite Iva, scagliandosi contro il concordato preventivo biennale. Eppure l’unica maniera per far ripartire il Pil è lasciare più soldi in tasca alle imprese affinché investano di più e ai contribuenti perché con lo shopping sostengano consumi.
L’accusa sferrata dal partito delle tasse e dalla Cgil è quella che la norma, da poco approvata dalla commissione Finanze del Senato, nasconderebbe un condono mascherato.
Al contrario, la politica del cosiddetto “Fisco Amico” esplorata dal governo con il vice ministro dell’Economia, Maurizio Leo, punta all’obiettivo di un Erario più giusto: comprensivo con chi è corretto, deciso con chi sgarra.
Giova ricordare che il concordato preventivo biennale:
- è riservato alle imprese in regola con le tasse, in base ad alcuni parametri;
- predetermina l’imposta fissa che imprese e partite dovranno versare nei due anni successivi;
- le esenta da eventuali controlli;
- non concede sconti nel caso il giro d’affari vada peggio delle attese.
In estrema sintesi, le imprese si assumono un rischio, lo Stato ha certezza dell’incasso: si stima circa 1,8 miliardi.
Più che le tecnicalità dell’impianto del concordato preventivo, preferiamo qui ricordare che abbassare le tasse aumenta il gettito. Lo ha teorizzato l’economista californiano Laffer in una equazione che è diventata il fulcro della politica economica dell’amministrazione Reagan negli anni ’80.
Il suo grafico a campana è di comprensione immediata: aumentare l’imposizione non equivale ad accrescere il gettito, anzi esistono sia un livello di tassazione ottimale sia un punto di non ritorno. Dove, almeno sulla carta, l’incasso per l’Erario addirittura si azzera.
Si può trarre una conferma sul campo della teoria di Laffer dall’ultimo studio diffuso da Confesercenti. Secondo l’associazione, il taglio del cuneo e riforma delle aliquote Irpef, con la riduzione degli scaglioni, raddoppieranno la crescita dei consumi.
I due provvedimenti varati dal governo con la manovra di Bilancio imprimeranno una spinta da 5,6 miliardi sulla spesa delle famiglie italiane. A conti fatti, più della metà della crescita complessiva dei consumi prevista da qui a dicembre (+10,9 miliardi di euro).
E a caricare la molla dello shopping, si legge nel documento, sarà proprio la riduzione della pressione fiscale di mezzo punto, dal 42,2 al 41,7%. Perché questo lascerà nelle tasche delle famiglie italiane più denaro da spendere.
L’effetto ultimo sarà di aumentare i consumi dell’1%, quindi molto poco e meno di quanto è avvenuto nel 2023, ma comunque il doppio rispetto a quanto si sarebbe registrato in assenza della legge di bilancio.
In termini assoluti, la variazione è pari a +10,9 miliardi nell’anno, di cui +5,6 miliardi attribuibili ai provvedimenti della manovra: 3,1 miliardi dal taglio del cuneo e 2,5 miliardi da quello delle aliquote. Una spinta essenziale per la crescita: l’incremento del Pil nel 2024 raggiungerebbe lo 0,9%, in lieve accelerazione sul 2023.
I consumi stanno dando un sostegno importante al Pil, e quindi alla gestione del debito pubblico e del deficit negli esami di Moody’s e delle altre agenzie di rating. Ma per mantenere i livelli di spesa, malgrado i maxi-tassi di interesse della Bce e i rincari generalizzati di beni e servizi conseguenti alla fiammata dell’inflazione, le famiglie italiane hanno intaccato i risparmi e prelevato dai conti in banca.
Tanto che la propensione al risparmio è ai minimi da 35 anni e si attesta al 6,2% del reddito disponibile. Non solo, l’orizzonte già incerto, è ulteriormente reso ancora più pericolante dalle ricadute economiche della crisi di Suez sulla catena delle forniture.
Per la precisione, si stima che mantenere il taglio del cuneo e la nuova Irpef anche nel 2025 permetterebbe di accrescere la spesa delle famiglie dello 0,7% e il PIL dell’1,1%, recuperando così i consumi pre-crisi Lehman Brothers, dopo 18 anni di attesa. Senza il taglio del cuneo, invece, l’incremento dei consumi si abbasserebbe allo 0,2%, con un incremento del Pil fermo allo 0,8%.
Il ritorno in vigore del Patto di Stabilità europeo, pur con alcuni cuscinetti fino al 2027, complica di certo il percorso della riduzione delle imposte per i Paesi molto indebitati come l’Italia. Ma permette di fare investimenti e di mettere a terra i fondi del Piano di ripresa e resilienza. Non resta che fare in modo che il Pil acceleri davvero, riacciuffando il balzo successivo al Covid.
Il prossimo passo non può quindi che essere quello che tagliare le tasse, anche alla vera classe media che oggi è strangolata dal fisco, appena supera di 35 mila euro di reddito lordo. Così insegna Laffer nei manuali degli studenti universitari iscritti al primo anno alla facoltà di Economia.
Per approfondire leggi anche: gli italiani mettono nel carrello della spesa sempre più prodotti no logo per cercare di alleggerire lo scontrino del supermercato.
Il governo Meloni, con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, deve quindi non solo confermare le misure esistenti, ma trovare le coperture per osare di più. Procedendo con le privatizzazioni così da fare cassa e zittendo i falchi del rigore che già chiedono una procedura di infrazione per giugno prossimo.