Economia

Investire in opere d’arte? L’Italia si fa autogol anche con l’Iva

Rallenta il settore a livello globale, giù i ricavi di Christiès, Sotheby’s

Opere d'arte crisi © fender e clem tramite Canva.com

II mercato dell’arte e degli investimenti negli oggetti da collezione stanno tirando il freno in tutto il mondo: -28% il calo del volume d’affari accusato dalle grandi case d’aste come Christiès, Sotheby’s o Phillips nei primi sei mesi dell’anno.

Il rallentamento prosegue da tempo ed è in parte fisiologico dopo il boom registrato 2022, complice la euforia post Covid, e la fase di generalizzato assestamento dello scorso anno.

Il nostro Paese però continua a farsi del male da solo anche su quadri, statue e più in generale dai cosiddetti “collectibles”, gli oggetti da collezione che per decenni sono stati il sogno di tanti appassionati e che ora sta perdendo colpi soprattutto proprio nella fascia alta, quella che potremmo definire “private” con un linguaggio bancario.

L’Italia si fa autogol, perché il fisco impone al settore una aliquota Iva al 22%. A conto fatti oltre il triplo della Germania (7%) e quattro volte la Francia che, infatti, con la sua imposta sul valore aggiunto ferma al 5% si è trasformata nella culla  dei mercanti d’arte in genere. A partire dall’antiquariato.

Una palla al piede, quella dell’Iva, che diventa un problema strutturale anche in termini di import-export se si pensa che l’Italia è forse l’ultima delle frontiere che varcherebbe un mercante internazionale per importare oggetti d’arte nello spazio comune europeo, visto che alla nostra dogana si ritrova a dover sborsare un’aliquota pari a 10 percento. Nessuno degli altri Paesi “sudditi” di  Bruxelles chiede tanto.

Insomma, servono incentivi. A beneficiarne potrebbe essere non solo il settore che spazia dai mercanti all’indotto, ma anche per i giovani artisti prodotti dalle gallerie, più in generale lo stesso sistema museale e in prospettiva chi oggi sta completando gli studi nelle accademie d’arte.

Autogol sull’Iva parte, la situazione generale del mercato dell’arte e delle case d’aste è complessa. O meglio è stretta in morsa fatta da una parte di un numero di offerte in diminuzione e dall’altra da acquirenti sempre più restii a rilanciare sui prezzi. Ma soprattutto a strisciare la carta di credito.

E la stessa cautela negli acquisti, secondo quanto emerge da uno studio di Deloitte Private, si respira nelle fiere specializzate del settore, che pur hanno venduto numerosi biglietti di ingresso e riempito gli stand in termini di affluenza. Un buon esempio è quanto è accaduto dalla ArtBasel di Basilea.

Tutto questo senza contare che  la frenata del 28% nei fatturati delle case d’asta nella prima parte di quest’anno si somma al -18% rimediato nel 2023. Con una particolare disaffezione degli acquirenti per la pittura.

Da notare poi l’accresciuto interesse per le proposte dei giovani emergenti, complice probabilmente anche la speranza di poter così ottenere una plusvalenza in caso di rivendita nel medio termine dell’opera o dell’oggetto da collezione scelto.

In ogni caso gli Stati Uniti e New York nello specifico restano il principale mercato su scala globale, grazie al numero di ricchi e super-ricchi che vi abitano: sono gli high net worth individual (Hnwi), ovvero chi può disporre su almeno 5 milioni di dollari di patrimonio.

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Al denaro si associa poi negli States una ancora diffusa curiosità culturale per il comparto. Tra le altre piazze internazionali, tengono bene anche Parigi e Hong Kong mentre perde smalto Londra

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