La Cina si vendica dei dazi sulle auto elettriche e stanga i Suv europei

Pechino prepara maxi dazi anche per berline e supercar. Nel mirino tutti i motori oltre i 2,5 litri di cilindrata

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“La vendetta è un piatto che va servito freddo”: questo insegnamento si rincorre dall’antichità alla cinematografia contemporanea, rimbalzando più volte tra le pagine dei libri e le pellicole di celluloide. La Cina, però, non la pensa così.

A meno di 24 ore dalla decisione europea di approvare i maxi-dazi contro le auto elettriche costruite sotto la Grande Muraglia  grazie agli aiuti di Stato, si materializza la seconda ritorsione del presidente Xi Jinping che segue quella su latte e formaggi.

La Cina si prepara a stangare le auto europee di grande cilindrata che arrivano alla proprie frontiere chiuse nei container con il passaporto dell’Unione.

A essere colpite saranno le vetture con motori oltre i 2.500 centimetri cubici. In sostanza i grandi Suv e le berline top di gamma, come quelle di Mercedes o di Bmw.

Ma se la Germania è il paese che rischia di pagare, almeno potenzialmente, il costo più elevato per la vendetta made in China, anche l’Italia ha poco da rallegrarsi.

Vista anche la difficilissima situazione degli impianti nazionali di Stellantis. Fino al caso limite di Mirafiori che resterà bloccato fino a settembre. Per non parlare dell’ultimatum del governo sui fondi del Pnrr per la gigafactory di Termoli rimasta sulla carta.

La ritorsione cinese interessa infatti per esempio le Alfa Romeo più sportive e la Maserati con la Grecale e la GranTurismo, la GranCabrio e la MC20, tutte equipaggiate con motori da 3 litri.

Non proprio il massimo per un Tridente già in semi-agonia. Tanto che i sindacati hanno lanciato un appello scritto affinchè Maserati sia salvata indirizzando una lettera aperta al presidente di Stellantis, John Elkann, che è il principale erede di Gianni Agnelli.

A cui si aggiungono, naturalmente, le sportive come Porsche fino alle supercar della Lamborghini e quelle made in Ferrari. Anche se c’è da dire che un milionario che colleziona le creazioni del Cavallino rampante o comunque possiede un garage di lusso difficilmente desiste per qualche tassa di troppo.

In ogni caso il Vecchio Continente, che ha deciso di applicare una sovrattassa aggiuntiva fino al 36% sulle auto con la spina del Dragone da sommare al 10% oggi in vigore perché in odore di dumping, vede traballare con la contromossa di Pechino almeno 20 miliardi del suo export.

Un attacco frontale con cui il Dragone prova, in extremis, a fermare il processo dei dazi Ue che entreranno in vigore entro fine ottobre con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

La guerra dell’auto elettrica si affianca peraltro alla battaglia per il predominio dei microprocessori sempre in corso con il Paese guidato da Xi Jinping e alla corsa a riportare l’uomo sulla Luna per farne una miniera da cui ricavare metalli e terre rare.

A un occhio attento non sfugge come ciascuna delle offensive di Pechino (brandy, carne suina, auto) penalizza maggiormente un singolo paese europeo. 

La strategia neppure troppo mascherata dell’ex Celeste Impero è quindi quella di rompere il fronte degli Stati che in seno alla Commissione Ue ha votato di procedere con i dazi, seguendo una similare decisione americana.

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Le diplomazie di Bruxelles e quelle cinesi hanno lasciato aperto un canale di confronto ma le possibilità di giungere a un accordo appaiono a questo punto esigue.

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