La crisi dei partiti tradizionali parte da molto lontano anche se è oggi che se ne accusa l’effetto in tutta la sua essenza.
Se si può dire che “Tangentopoli” è stata l’arma di distruzione di massa per quella che fu la Prima Repubblica, annientando una intera classe dirigente in un colpo solo, si può altrettanto dire, a distanza di tempo, che sia anche stata la causa della nascita di forme politiche popolar – populiste.
Il lavoro, l’imprenditoria, l’agricoltura, l’istruzione, la sicurezza, la pubblica amministrazione sono alcuni dei tanti apparati che soffrono la mancata regia della politica, quella politica di programmazione di lungo periodo, di studio del fabbisogno interno che precede azioni mirate a favore dei territori.
Il paese sta andando alla deriva, sta navigando in acque turbolente come fosse a bordo di una grande nave, dove tutti si sentono “comandanti” e pochi parte del semplice equipaggio. Un paese dove la politica la si vede, o meglio, la si sente “baccagliare” nei talk show più che nei palazzi preposti, da “urlatori” affamati dalla luce dei riflettori in cerca di notorietà più che da politici studiosi della materia che hanno a cuore l’interesse collettivo.
E’ vero che questa è l’epoca della tecnologia, dove tutto si ottiene con un semplice click senza neanche dover più uscire dalle proprie abitazioni, ma alcune realtà non possono subire drastiche metamorfosi e una di queste è il modo di fare politica attraverso selfie e social.
Tutto stona dentro quei palazzi dall’ arredamento che emana profumo di una storia ormai lontana, quella storia che racconta un passato di nobiltà intellettuale, oggi recuperabile soltanto grazie all’inchiostro impresso nelle pagine di numerosi libri, palazzi che un tempo furono frequentati da veri statisti.
Si è permesso che tutto degenerasse nella forma più approssimativa, si è permesso ad ogni “cambiamento” di mantenere una sola caratteristica, la velocità della meteora, dove il grande assente è il “tempo” elemento essenziale per far si che si possano porre le basi per solide radici.
Il sentimento antipolitico e antipartitico dell’ostilità verso la politica, ha ridotto ogni singolo contesto che la riguarda a forme semplicistiche di narrazione dei fatti, senza mai entrare veramente nel merito.
Con questo scenario, come si può pensare di cambiare un paese, o, meglio ancora, come si può pensare di riformare un paese, quando è la stessa classe dirigente a ciò deputata a mutare rapidamente e ad ignorare i principi fondamentali del ruolo che ricoprono.
L’impennata dei consensi che hanno portato in ascesa i nuovi movimenti populisti, trova la sua leva nella reazione verso quel vento che tocca la sensibilità dell’opinione pubblica, rispetto a quella che era una più fredda politicizzazione dei partiti tradizionali.
Se tutto questo è motivo di forme partecipative, entusiasmo e interesse verso l’attività politica, al contempo ne fa perdere l’ordine, la gerarchizzazione e depoliticizza la società, a favore di un fenomeno di massa che non potrà trovare nel tempo uomini e donne portatori di credibilità proprio per la mancanza di quelle inevitabili basi moderate della scienza della politica.
Si sta insegnando alle nuove generazioni l’arte della delegittimazione dei partiti, delle Istituzioni e della politica stessa.
Perché in pochi si domandano come mai quei politici capaci che hanno calcato le scene anche in questo ultimo periodo, hanno ritenuto opportuno lasciare libero lo spazio del pensiero e preferito un religioso silenzio…
Forse perché le idee, il tono pacato, il contraddittorio costruttivo non arriva alla pancia dell’italiano, come invece gli slogan e le espressioni colorite.
In ultimo, il fenomeno dell’apertura alla politica attiva della cosiddetta “società civile”, in un primo momento considerata la cura a tutti i mali per poi prendere atto che un imprenditore o un professionista per quanto onesto e capace non potrà mai essere portatore di interessi collettivi e generali, per “forma mentis” sarà portato inevitabilmente a tutelare gli interessi di uno specifico apparato magari quello di provenienza.
Sarà forse proprio questa la stortura da rivedere?
Sarà opportuno riassegnare alla politica il suo ambito, e rilegittimarla affinchè possa restituire alla collettività quegli interlocutori organizzati a tale proposito? La politica deve guarire dalla crisi d’identità in cui è sprofondata, riappropriandosi dello spazio che ha lasciato vuoto e, oggi, occupato da tanti piccoli gruppi, ognuno portatore di propri interessi.