Economia

La Germania malata arranca sul Pil, ma crocifigge l’Europa con il rigore

Il Pil tedesco di poco superiore al pre-Covid. E la stagnazione è strutturale

Scholz, bandieragermania crisi © kontekbrothers e alexsl tramite Canva.com

Da potente locomotiva dell’economia europea ad arrugginito vagone merci che si trascina sul binario morto della bilancia commerciale: è la parabola della Germania e la crisi del modello tedesco basato sul miracolo esportazioni.

Il verdetto è nei numeri. Dopo la recessione dello scorso anno, a fine marzo scorso il Pil tedesco è risultato di poco superiore rispetto ai livelli del pre-pandemia: il vantaggio si fermava allo 0,3%.

Un risultato da prefisso telefonico che a lungo ha contraddistinto l’Italia e gli altri “pigs”. I “maiali del debito” agli occhi dei falchi del rigore, che nel frattempo tenevano in ostaggio la Bce sul taglio dei tassi. Per avere una idea in media i Paesi dell’area euro sempre a marzo erano sopra del 3,2% rispetto al 2019.

A sottrarre energia e competitività al modello tedesco ha contribuito il venir meno del gas russo. Una materie prima di cui  l’industria teutonica si approvvigionava in abbondanza prima che la Russia di Vladimir Putin invadesse l’Ucraina.

La conseguenza è stata la  la trappola delle sanzioni che stanno mettendo nei guai anche le imprese del made in Italy, come potete leggere nella lettera che ci ha inviato questo imprenditore a Inchiostro & Affari.

Quello tedesco è comunque un ritardo non più solo congiunturale, avvertono gli analisti della Banca del Fucino che hanno redatto un articolato studio sul caso Berlino, evidenziando come sia il Paese più direttamente esposto alla difficile ripresa della Cina post Covid.

Tanto che, pur escludendo scenari di recessione prolungata, è probabile che l’economia della Germania continuerà a registrare anche nel prossimo futuro tassi di crescita modesti.

Una facile previsione, aggiungiamo noi, visto che il Dragone è prima finito inghiottito dalla voragine del suo mercato immobiliare fatto collassare da Evergrande e ora si vendica fumante di rabbia dei maxi-dazi europei sull’auto elettrica avviando un’indagine anti-dumping sulla carne di maiale proveniente dal vecchio continente.

Non per nulla il Paese guidato da governatore Olaf Scholz si è già beccato per due volte dall’Economist il poco lusinghiero bollino di “Sick Man of Europe“.

Chiariamo subito che, essendo la Germania grande importatrice di prodotti made in Italy, non c’è proprio nulla di cui essere contenti dei guai tedeschi. Anzi c’è da preoccuparsi per la tenuta del del nostro Pil.

A chi scrive viene però naturale chiedersi: perché La Germania, nuova malata d’Europa, fa ancora la voce grossa in sede di Commissione Ue e del direttivo Bce?

Perché rifiuta il passaggio a un debito comune, perché vede con il fumo negli occhi altri aiuti laddove fossero necessari per sostenere la ripresa delle zona euro e proteggere l’euro sul mercato dei cambi?

Perché si arroga il diritto di chiedere procedure di infrazione per i paesi più indebitati come l’Italia, quando poi è lei stessa a finire sacrificata sull’altare del rigore?

E’ il momento di correggere lo Statuto della Bce, allentare la morsa sui debiti e pensare a costruire un verso mercato unico europeo. E il momento di pensare alla crescita del Pil, a non perdere del tutto la guerra dei microchip.

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Per Bruxelles è il momento di pensare come guadagnarsi un piazzamento nella corsa per l’intelligenza artificiale e per il predominio delle terre rare che sta ripotando l’uomo sulla Luna. E’ ora che nascano dei big bancari europei in grado di competere con il colossi americani e asiatici.