Economia

La Gigafactory di Stellantis a Termoli, la moral suasion del governo

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La transizione energetica dell’automotive italiano ha le sue nuove coordinate. Lì dove si incrociano il quarantaduesimo parallelo nord ed quindicesimo meridiano est, si dà l’ora al fuso orario dell’Europa centrale e inizia il meridione d’Italia: Termoli, Molise. Sorgerà proprio nello stabilimento automobilistico del Nucleo industriale del Val Biferno, costruito negli anni ’70 dalla Fiat, la terza Gigafactory di batterie per le auto elettriche del Gruppo Stellantis. La dichiarazione dell’Ad Carlos Tavares aprendo l’EV Day dedicato alla strategia del gruppo italo-francese per l’elettrificazione, ha colto di sorpresa molti osservatori, facendo tirare un sospiro di sollievo la piccola realtà molisana, che sulla presenza dell’industria automobilistica e sull’indotto da essa prodotto fonda una parte consistente di creazione del PIL e dell’occupazione regionali.
 
La conversione dello stabilimento di Termoli, oggi dedicato alla produzioni di cambi e motori, per produrre batterie a ioni di litio spazza via le preoccupazioni che serpeggiavano da settimane sulla possibile dismissione di linee produttive obsolete e ormai fuori mercato e sulla conseguente crisi occupazionale che ne sarebbe derivata. Che in Italia dovesse sorgere una Gigafactory era un dato certo dopo l’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza da parte del governo Draghi.
 
Nel piano è previsto infatti un investimento pubblico di 600 milioni di euro che, grazie al contributo anche di capitali privati, può raggiungere secondo le previsioni del governo il miliardo di euro complessivo di investimenti. Un’iniziazione di liquidità in grado anche di sostenere l’occupazione con l’obiettivo di creare di 500 nuovi posti di lavoro. L’Italia ha indicato nel documento approvato dalla Commissione Europea di voler realizzare una capacità di produzione di batterie per 37 GWh entro il 2030 e prevede che la leva finanziaria dell’investimento produca un valore di 1,8 miliardi di euro entro la fine del decennio.
 
La formula dell’investimento ibrido pubblico-privato citato nel piano ha acceso i riflettori anche sull’eventualità che lo Stato italiano sommi ai fondi comunitari ulteriori risorse nazionali, grazie al veicolo di Cassa Depositi e Prestiti, che potrebbe entrare direttamente nella partita societaria. In questo modo lo Stato Italiano attraverso CDP apporterebbe ulteriore capitale nella nuova società nata dalla fusione di FCA e Peugeot, emulando quanto già fatto da Parigi che è proprietaria di quote rilevanti della casa automobilistica francese. L’operazione però per andare a buon fine dovrebbe ricevere l’avallo delle autorità comunitarie che vigilano sulla conformità alle norme sugli aiuti di stato.
 
Il dossier della prima Gigafactory italiana è stato condiviso dal Ministero dello sviluppo economico di Giorgetti e dal Ministero della transizione energetica Gingolani, dimostrando la sempre più necessaria convergenza dello sviluppo economico dell’economia italiana con la transizione energetica che non può più essere rimandata. Per il governo Draghi quella di Termoli è davvero una partita decisiva. E la scelta della cittadina adriatica a discapito di concorrenti come Torino dimostra a ben vedere la coerenza dell’esecutivo rispetto ai principi sui quali è stato ispirato il PNRR.
 
L’attuazione concreta della Next Generazione EU è possibile realizzando davvero la transizione energetica, creando nuovi posti di lavoro di qualità su settori innovativi e garantendo i livelli occupazionali in particolare nel sud del Paese. Probabilmente proprio per quest’ultima ragione è stato scelto lo stabilimento molisano. Una indicazione che ovviamente è stata presa dal privato, ma certamente il governo avrà espresso nell’interlocuzione con i vertici di Stellantis una sollecita azione di convincimento per confermare la coerenza delle proprie posizioni.
 
Nelle ultime settimane in attesa dell’indicazione dello stabilimento prescelto dalla società di automotive era iniziata una partita politica di pressioni giocata in particolare modo dai rappresentanti delle istituzioni regionali sull’esecutivo. A Torino, forti del legame con la famiglia Elkann-Agnelli, auspicavano che il progetto e il suo imponente investimento divenissero la soluzione per rivitalizzare lo stabilimento di Mirafiori. Così non è stato. A Roma sono consapevoli evidentemente che togliere anche quei pochi elementi presenti in Meridione che garantiscono occupazione, vitalità economica e prospettive di crescita non solo sarebbe una condanna a morte definitiva per un pezzo di Paese, ma anche il tradimento dei valori sui quali stiamo chiedendo all’Europa di sostenere la nostra ripresa economica dopo la crisi pandemia.
 
L’ora della ripresa italiana ed europea passa davvero per Termoli.
 
 
Antonello Barone