Economia

La nuova frontiera della military economy: il caso Belluno

Zuppa del 7 aprile 2018

Economia

Belluno non è certo New York né Milano. Ma mi fa comunque sempre sorridere il fatto che dopo aver dichiarato di essere nato lì, le persone mi chiedano: provincia di…?  L’ultimo a farlo è stato un medico del lavoro di Roma (sic!). Belluno probabilmente sta alla capitale come una Ferrari ad un monopattino, ma insomma…

Negli anni 80 però era una città molto viva. Il patto di Varsavia non si sarebbe sciolto prima del 1991 e a Belluno, terra di frontiera, erano attive svariate caserme con la presenza costante di migliaia di soldati e la presenza di questi ultimi aveva rilevanti ricadute sulla vita economica e sociale della città.

I bar ed i ristoranti erano numerosi e la sera essa risultava viva. Usciti dalle caserme i militari volevano probabilmente bersi una birra in compagnia (e magari trovarsi una morosa), oppure avere al mattino una buona colazione con cappuccino e brioche o la sera magari mangiarsi una pizza e non la sbobba che veniva servita in mensa.

Insomma, le forze armate avevano un impatto importante sul reddito medio dei bellunesi. Quando tutto questo finì, ad inizio degli anni 90, la cosa non fu indolore per la città. Rispetto ad allora infatti, oggi conta quasi 2000 abitanti in meno, che per un paesone da nemmeno 40.000 abitanti sono un numero tutt’altro che trascurabile.

Ogni volta che il governo effettua investimenti (meglio se con giudizio!) questi, grazie al meccanismo del moltiplicatore, cioè il meccanismo per il quale qualsiasi incremento nella spesa o negli investimenti genera un incremento nel reddito nazionale n volte superiore all’iniziale spesa pubblica, possono avere un impatto più o meno importante sull’economia di una città o, meglio ancora, di un paese.

Facciamo un altro esempio, un po’ più in grande stavolta: conflitto USA – URSS durante la guerra fredda. Il presidente USA Reagan definì nel 1983 l’URSS l’impero del male e per combattere il comunismo non esitò ad aumentare enormemente la spesa militare, cambiando completamente approccio rispetto al precedente periodo della distensione promossa dalle presidenze di Richard Nixon, Gerald Ford ed in parte Jimmy Carter.

Queste spese ebbero un impatto importante negli USA, specialmente per il territorio della California del Sud, ove erano situate molte società del settore aerospaziale, ma non solo. È opinione comune, infatti, che a stimolare la crescita economica che gli USA vissero durante la Reaganomics (l’insieme delle politiche economiche adottate dagli Stati Uniti nel corso della presidenza Reagan) furono proprio questi investimenti, che generarono un notevole indotto in molti altri settori, dalla siderurgia alla ristorazione.

Non va dimenticato però, che quando queste spese finirono, l’effetto fu duro per il paese. Nel 1990-91 gli USA scivolarono in recessione (che costò la rielezione al successore di Reagan, George H. Bush) e le regioni che maggiormente beneficiarono di questi investimenti, furono quelle che vi rimasero più a lungo.

Ma torniamo all’Italia. In tempi più recenti (agosto del 2020) il presidente Draghi parlò della differenza fra debito buono (investimenti produttivi e riforme) per i quali aveva un senso fare deficit, rispetto al debito cattivo (sussidi e bonus) che invece erano fonte di sprechi e distruzione di risorse. Che bello sarebbe se spendessimo ogni singolo euro delle risorse del PNRR in investimenti (anche per la difesa!) e non li sprecassimo per sussidi inutili. Perché oggi viviamo una crisi dovuta al costo delle materie prime, ma nel 2010 ne abbiamo vissuta un’altra, quella del debito. E riviverla oggi, quando questo è superiore al 150% del PIL, potrebbe essere davvero tragico per il paese.

 

Alessio Benaglio, 31 marzo 2022