La Panda elettrica parla serbo. “Ciaone” di Stellantis a Pomigliano

L’Italia ha concesso miliardi di aiuti alla Fiat senza però mai diventare attrattiva. Il 6 dicembre il tavolo al ministero per l’obiettivo 1 milione di auto

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Stellantis, ormai franco-italiana vista la presenza dello Stato francese nel capitale con una quota prossima al 6%, ha deciso: la Panda elettrica, plausibilmente uno dei modelli che si candida a diventare protagonista della mobilità con la spina su scala europea, sarà costruita in Serbia. La scelta è caduta sullo stabilimento di Kragujevac, lo stesso da dove fino a questo momento sono state messe in strada le Fiat 500L.

La definitiva conferma è stata data nel corso del summit tra la premier italiana Giorgia Meloni e il presidente serbo Aleksandar Vucic, visibilmente soddisfatto. Il problema per il nostro Paese è che la Panda tradizionale viene invece prodotta a Pomigliano d’Arco ed è l’auto di punta del Lingotto per quanto concerne le vendite. Tanto da fare dello stabilimento campano un’isola felice, dove la cassa integrazione azzerata anche grazie alle linee Alfa Romeo Tonale e Dodge Hornet.

A Pomigliano la linea di montaggio della vecchia Panda dovrebbe restare attiva fino al 2026, poi sembra di capire che lo stabilimento sarà “indennizzato” con una nuova vettura small. Quella che al momento i sindacati hanno battezzato, forse con un filo di scaramanzia, “Pandina“.

Sia chiaro: è sacrosanto che qualsiasi azienda delocalizzi dove le condizioni di produzione sono più favorevoli. Questo principio liberale vale ancora di più se si tratta di una multinazionale, che per natura deve ragionare con una logica globale se vuole essere in grado di competere. E di un gruppo quotato in Borsa, come Stellantis che deve superare l’esame di analisti e investitori istituzionali: l’azione in Piazza Affari si è apprezzata di circa un terzo da inizio anno e, mentre scriviamo, passa di mano a circa 20 euro.

La scelta industriale della casa automobilistica, di cui Exor (cioè la famiglia Agnelli con John Elkann in testa) è la prima azionista con poco più del 14%, dovrebbe però far riflettere. Soprattuto in vista del tavolo con il settore convocato dal ministro delle Imprese Adolfo Urso il 6 dicembre con l’obiettivo di arrivare a un milione di auto prodotte in Italia, anche in cambio di incentivo.

Un livello, quello del milione di vetture, che appare davvero molto difficile da raggiungere lungo lo Stivale, considerando l’andamento delle immatricolazioni da gennaio a novembre e lo stop produttivo di 40 giorni appena deciso a Cassino per permettere di installare la piattaforma dedicata alla cosiddetta “Stla Large”, cioè i nuovi suv e le nuove berline elettriche del segmento premium. Il riavvio del sito è atteso l’8 di gennaio.

Resta poi un fatto, il più amaro. Federcontribuenti ha stimato che la Casa torinese ha ricevuto dal 1975 ad oggi 220 miliardi dallo Stato Italiano, praticamente l’equivalente di una decina di leggi di Bilancio. Il calcolo, che non è mai stato confutato dal Lingotto, tiene conto delle numerose casse integrazioni che si sono inseguite negli anni, così come dei ripetuti prepensionamenti, oltre che delle risorse pubbliche concesse alla allora Fiat per aiutarla a costruire o modernizzare gli stabilimenti e anche delle rottamazioni per svecchiare il parco circolante.

Tutto questo fiume di denaro pubblico confluito verso Torino, se ha in parte tamponato l’occupazione dei metalmeccanici ai tempi dell’Avvocato, non è però evidentemente servito a rendere il nostro Paese davvero competitivo. E quando l’esecutivo di Mario Draghi ha fatto capire di vedere di buon occhio un ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nel capitale di Stellantis per controbilanciare la presenza di Parigi, l’amministratore delegato Carlos Tavares ha sbarrato la strada. Era marzo del 2022. Ora va anche peggio, vista la carta di identità serba che avrà la Panda elettrica.

 

 

 

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