La Repubblica democratica delle Pensioni

Nel Mezzogiorno più assegni Inps che stipendi, ma pesano i contributi di inabilità. Presto il sorpasso nazionale

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“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, si legge nella Costituzione. Ma visto come vanno le cose sarebbe meglio dire che il nostro Paese più che reggersi in piedi appoggiato sugli stipendi di chi ha un impiego resta seduto sulle pensioni.

Già oggi l‘Inps è il maggior dato di lavoro nel Mezzogiorno, ma nel giro di qualche anno si pagheranno più assegni pensionisti che stipendi lungo tutto lo Stivale. Il sorpasso sembra ineluttabile visto che, stando ad alcune stime, entro il 2028 sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 2,9 milioni di italiani.

La gran parte dei pensionamenti avrà luogo nel Centro-Nord dove, per amor di precisione, potrebbero essere interessati 2,1 milioni di persone che oggi invece timbrano il cartellino nelle fabbriche, nei negozi e negli uffici.

Non per nulla la situazione è già considerata squilibrata in undici province del Nord: Sondrio , Gorizia, Imperia, La Spezia, Vercelli, Rovigo, Savona , Biella, Alessandria, Ferrara e Genova. Insomma tutte e quattro le province della Liguria sono a debito di occupazione. Nel Mezzogiorno il problema vale per tutte, con l’eccezione di Cagliari e Ragusa.

Va detto che nel 2022 i lavoratori dipendenti e autonomi sfioravano quota i 23,1 milioni contro i 22,8 milioni di pensionati, il saldo positivo era quindi 327mila posizioni attive. L’occupazione risulta inoltre in crescita in tutte le tabelle dell’Istat, soprattutto quando si parla di lavoro a tempo indeterminato. Una dimostrazione questa di come sfoltire le regole abbia portato buoni frutti, ma la distanza da colmare rispetto a molti altri paesi della Ue è ampia.

In ogni caso la tenuta dell’occupazione non basterà a evitare il capitombolo. A denunciare il problema, mentre la politica torna a parlare di riforma delle pensioni in vista della nuova legge di bilancio, è la Cgia di Mestre con l’avvertenza che la somma delle pensioni nelle regioni e nelle aree territoriali non corrisponde al totale per la presenza di pensioni fuori dal territorio nazionale e di quelle non ripartibili.

La provincia maglia nera è Lecce, seguita da Napoli, Messina, Reggio Calabria e Palermo. All’opposto, svetta per operosità la Città metropolitana di Milano, seguono quindi Brescia, Bergamo, Bolzano e Verona. Nel Centro, invece, bene le province toscane. E meno male che è finita la follia del Reddito di Cittadinanza voluto dai grillini di Giuseppe Conte.

 

Va però detto che i numerosi assegni erogati al Sud e sulle Isole è dovuta non tanto alla presenza delle pensioni di vecchiaia-anticipate ma alla pioggia dei trattamenti sociali o di inabilità.

La situazione generale del Paese, peraltro, non potrà che deteriorarsi visto il progressivo invecchiamento della popolazione in atto. Senza contare che a corrodere le buste paga e rimpinguare l’esercito degli assistiti dell’Inps potrebbe contribuire anche la progressiva avanzata della intelligenza artificiale. Soprattutto per le mansioni meno qualificate.

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Potrebbe, insomma, riproporsi tra le scrivanie degli uffici quello che è avvenuto nelle catene di montaggio con la rivoluzione industriale. Va da sè che la contromossa non può che essere puntare sulla formazione delle nuove leve, affinché siano in grado di sfoderare tutte le competenze indispensabili per la digitalizzazione e la rivoluzione provocata  ChatGPT.

Un aiuto potrà poi arrivare dall’occupazione femminile, dalla lotta al caporalato e, più in generale dal contrasto del sommerso.

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