Le piattaforme social sono tutto fuorché attori neutrali, medium senza un’anima o un posizionamento, sia se si parla di economia, di fashion, di musica o di processi geopolitici complessi. Così anche nel conflitto in corso tra l’Ucraina e la Russia, le Big Tech sono riuscite a condizionare profondamente il contesto bellico e a generare nell’opinione pubblica, in particolare in quella occidentale, una dicotomia narrativa che in questo primo mese si è rivelata decisa per dare forza alla resistenza ucraina. La Rete forse non riuscirà a decidere le sorti di una guerra, ma ha di certo la capacità di manipolare gli equilibri iniziali delle forze in campo.
Lo stallo odierno del conflitto è in qualche misura legato anche alla capacità dell’Ucraina e, in particolare, del presidente Volodymyr Zelenskyj di portare, sin dalle prime ore dell’invasione, al di fuori dei confini nazionali l’effetto che nel 1970 il politologo statunitense John Mueller descrisse come “rally around the flag”.
Infatti, non solo gli ucraini, ma in un crescendo emotivo prima le nazioni e leader, occidentali e non, poi le multinazionali, poi i brand più valoriali e, non di meno, una moltitudine di celebrity influencer si sono stretti attorno al vessillo giallo-blu e al suo leader sposandone apertamente la causa della resistenza e moltiplicando l’appello a schierarsi dalla parte “giusta”.
Ovvero, dalla parte delle vittime innocenti contro l’aggressore russo Vladimir Putin.
Il fronte ucraino è diventato così in pochi minuti grazie alla Rete e alle piattaforme social un fronte mondiale segnato da una narrazione tanto pulviscolare quanto dominante, guidata dalla figura di Zelensky che da subito si è presentato come un leader coraggioso, pop-olare ed efficacemente ordinario.
Un leader che ha socializzato in positivo la tragedia di morti e distruzione propria della guerra non rimanendone però schiacciato, né pagandone il dazio di una strumentalizzazione.
Da questa narrazione dal basso, user generated, e dalla forza di condizionamento dell’opinione pubblica digitale che ne deriva, la propaganda russa è rimasta clamorosamente spiazzata, perché prima l’ha sottovalutata e poi lungamente subita scegliendo una strategia di comunicazione mainstream, diventata d’improvviso antiquata, lenta e per nulla verosimile.
Un errore marchiano al quale si la Russia putiniana ha provato a mettere una pezza con l’adozione della legge sull’informazione, la censura di ogni voce dissonante e la chiusura di alcune piattaforme social. Il “contesto mediale ibrido – come ha scritto Giovanni Boccia Artiere – in cui la circolazione delle informazioni e la costruzione degli immaginari si gioca nei rimandi reciproci” fra media di massa – che arrancano e balbettano – e media digitali – che ribollono e generano una rete di audience straordinaria – è apparso l’alleato più importante dell’Ucraina in questo primo mese.
Per provare a misurare l’efficacia del contesto mediale e il ruolo della Rete sulle sorti dello scontro narrativo in corso, è utile cristallizzare il sentiment raccolto online dai principali leader mondiali coinvolti, utilizzando Liveinsighits la suite di Blogmeter.
Nella buca comparativa del listening, dal 24 febbraio al 25 marzo e censendo solo le menzioni in lingua inglese, ho inserito i due presidenti ucraino e russo, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, poi quelli di Francia e Gran Bretagna, Emmanuel Macron e Boris Johnson e, infine, il premier italiano Mario Draghi e il presidente statunitense Joe Biden.
Il dato più interessante che emerge dalla classificazione tripolare, positivo-negativo-neutro, degli utenti è la sostanziale parità dei valori ottenuti.
Infatti, al 32% di mood positivo incassato dal presidente Zelensky fa da contrappeso il 30% di sentiment positivo ottenuto da Putin. Le quote tra i diversi leader non solo si equivalgono sulla composizione del mood positivo, ma trovano una corrispondenza anche sull’atteggiamento in negativo e quello più neutrale.
Domenico Giordano, 29 marzo 2022