Economia

La ricchezza degli italiani

La ricchezza degli italiani

Il dato è un dato importante ed è analizzato da un report molto dettagliato di Banca d’Italia. Ci riferiamo alla ricchezza degli italiani. Vediamo com’è distribuita

https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2020-0559/QEF_559_20.pdf

 

La ricchezza netta delle famiglie italiane, misurata come somma delle attività reali (abitazioni, terreni, ecc.) e delle attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.) al netto delle passività finanziarie (prestiti a breve termine, a medio e lungo termine, ecc.), è pari a 9.743 miliardi di euro.

Secondo uno studio dell’Istat e della Banca d’Italia, la ricchezza netta delle famiglie italiane è 8 volte il loro reddito disponibile. Le abitazioni costituiscono la principale forma di investimento delle famiglie e, con un valore di 5.246 miliardi di euro, rappresentano la metà della ricchezza lorda. Il totale delle passività delle famiglie è pari a 926 miliardi di euro, un ammontare inferiore, in rapporto al reddito, rispetto agli altri paesi. Le attività finanziarie, invece, raggiungono 4.374 miliardi di euro, in crescita rispetto all’anno precedente.

Nel 2017, infatti, per l’Italia il peso delle attività reali (quelle non finanziarie) sulle attività complessive (59%) è risultato simile a quello di Francia e Germania (attorno al 58%) e superiore a quello di Regno Unito (47%), Canada (44%), Giappone (37% nel 2016) e Stati Uniti (33% nel 2016), confermando la rilevanza degli investimenti non finanziari, e soprattutto immobiliari, nel nostro paese.

L’Italia presenta il rapporto tra ricchezza netta e reddito più elevato tra i paesi considerati fino al 2014 quando viene superata dai Paesi Bassi. Tra il 2005 e il 2017 il rapporto tra ricchezza netta delle famiglie e reddito disponibile registra un processo di convergenza tra paesi perché le famiglie canadesi e britanniche, che avevano subito una riduzione marcata del rapporto nel 2008, registrano un rapido aumento negli anni seguenti. Per l’Italia, comunque, il livello elevato di quest’indicatore è sicuramente influenzato dal ristagno ventennale dei redditi delle famiglie. I valori della ricchezza pro capite risultano tra i più alti nel 2008 e nel 2009, tuttavia, dopo gli anni della crisi finanziaria, per l’Italia la ricchezza netta è rimasta pressoché stabile mentre è cresciuta in tutti gli altri paesi.

La maggior parte delle attività non finanziarie italiane è costituita da abitazioni, con una quota pari al 60 per cento; seguono i fabbricati non residenziali, che contano per circa un quarto del valore complessivo. Le attività non prodotte rappresentano una percentuale contenuta della ricchezza non finanziaria (tra il 2 e il 3 per cento) e mostrano una tendenza decrescente prima della crisi finanziaria e una fase di stabilizzazione a partire dal 2012 . Occorre sottolineare che nei dati pubblicati dall’Istat il valore dei terreni sottostanti ad abitazioni e fabbricati non è scorporato dagli immobili e non rientra dunque tra le attività non prodotte.

La ripartizione delle attività finanziarie è maggiormente differenziata rispetto a quella delle attività non finanziarie. Nel 2017 la quota più rilevante è costituita da biglietti e depositi, che rappresentano il 23 per cento del totale delle attività finanziarie del paese. Seguono i titoli con una percentuale del 19 per cento, mentre le azioni e i prestiti si attestano al 17 per cento. La restante parte è principalmente composta da quote di fondi comuni, riserve assicurative e altri conti attivi: ciascuno di questi strumenti rappresenta circa il 7 per cento del totale.

Nel periodo in esame il peso delle attività non finanziarie sul totale della ricchezza italiana sale dal 43 a circa il 47 per cento tra il 2005 e il 2008 per effetto della dinamica dei prezzi dei fabbricati, per poi ridursi lentamente dal 2012 e raggiungere il 41 per cento della ricchezza alla fine del 2017 A pesare maggiormente sono le abitazioni, che rappresentano circa un quarto della ricchezza lorda; un ulteriore 10 per cento è costituito invece dai fabbricati non residenziali. Tra le attività finanziarie, i biglietti e i depositi contano per il 14 per cento della ricchezza lorda; seguono i titoli, i prestiti e le azioni, con circa il 10 per cento ciascuno.

Una parte rilevante del risparmio è investita in attività non finanziarie. La stima di queste attività è fondamentale per ottenere una valutazione completa della ricchezza di un paese. Inoltre queste attività, insieme alle attività e passività finanziarie riportate dai conti finanziari, completano la sequenza dei conti nazionali. Negli ultimi anni gli istituti nazionali di statistica hanno dovuto affrontare rilevanti problemi metodologici nella stima delle attività non finanziarie e numerosi aspetti necessitano ancora di una soluzione concordata a livello internazionale (ad esempio la valutazione delle attività non prodotte). In questo lavoro, combinando i dati diffusi dall’Istat sulle attività non finanziarie con i conti finanziari, sono presentati i conti patrimoniali dell’Italia per settore istituzionale dal 2005 al 2017; viene quindi analizzata l’evoluzione della ricchezza dell’Italia, anche nei confronti di alcune economie avanzate. I dati relativi agli altri paesi sono pubblicati dall’OCSE e pur avendo un buon grado di comparabilità, possono includere diversi elementi di stima.

Nel periodo studiato il peso delle attività non finanziarie dell’Italia sul totale della ricchezza lorda è più alto rispetto a quello delle altre principali economie. Tra il 2005 e il 2008 tale valore è salito dal 43 al 47 per cento per effetto della dinamica dei prezzi dei fabbricati, per poi ridursi lentamente dal 2012 e raggiungere il 41 per cento alla fine del 2017. La maggior parte della ricchezza netta italiana è detenuta dalle famiglie, mentre il settore delle amministrazioni pubbliche mostra valori della ricchezza negativi, dovuti principalmente all’elevato debito. Rispetto agli altri paesi la ricchezza netta delle famiglie italiane in rapporto al reddito disponibile mostra valori costantemente più alti tra il 2005 e il 2014; il divario con gli altri paesi è andato tuttavia riducendosi e dal 2015 i Paesi Bassi presentano un rapporto più elevato.