Quando parliamo di pianificazione finanziaria, una delle teorie più famose ed utili per comprendere l’importanza di guardare avanti è senz’altro rappresentata dalla teoria del ciclo di vita (life cycle theory) ideata dall’italiano Franco Modigliani, assieme a Richard Brumberg, nel 1954.
In sintesi, questa teoria (che è valsa a Modigliani il Nobel per l’economia nel 1985) sostiene che le scelte di consumo delle persone vanno ragionate considerando tutte le fasi di vita che, statisticamente, attraversiamo: fase della gioventù, fase lavorativa, fase del pensionamento. Secondo l’approccio di Modigliani, una persona razionale mira ad ottenere un profilo di consumo il più possibile costante per tutta la vita, al fine di massimizzare il suo benessere complessivo.
Per farlo, deve tener conto che nelle diverse fasi del ciclo vitale la capacità di produrre ricchezza cambia sensibilmente: il reddito è nullo quando si è giovani, poi arriva e cresce durante la fase lavorativa, infine cala quando si esce dal mondo professionale per andare in quiescenza.
La fase lavorativa, nel modello di Modigliani, identifica l’unica delle tre in cui si genera un surplus tra reddito e consumo. Detto in altre parole: è la fase in cui si accumula risparmio, in cui si dovrebbe procedere a costruire il proprio fortino patrimoniale. Nelle altre due, infatti, si verifica una situazione nella quale il tenore di vita è superiore alle entrate su cui si può contare: quando si è giovani non si guadagna e si vive grazie al supporto economico dei genitori, quando si è anziani la discesa di reddito spesso e volentieri non consente di sopperire a spese che tendono ad aumentare, soprattutto a causa dei consumi non discrezionali (legati principalmente a motivi di salute).
Dopo questo breve recap, riteniamo interessante fare alcune considerazioni critiche in merito all’applicabilità del modello di Modigliani nel contesto odierno, 65 anni dopo la sua creazione. Insomma, una rivisitazione in chiave moderna di questo approccio, nel tentativo di trarne alcune utili osservazioni pratiche.
Cosa è cambiato oggi e come interpretare la teoria del ciclo vitale?
Inutile nascondersi dietro un dito: sono cambiate, e continueranno a farlo, moltissime cose.
Se guardiamo allo scenario demografico, sociale ed economico del nostro Paese, più volte ricordato ed analizzato nella nostra piattaforma di formazione Kaidan, dobbiamo prendere atto delle conseguenze di queste trasformazioni sul piano finanziario. Il più basso tasso di natalità dell’Unione Europea, l’incremento della longevità, la proliferazione di famiglie unipersonali a scapito di quelle numerose, le mutate condizioni del mercato del lavoro, l’aumento delle spese sanitarie per la non autosufficienza: sono soltanto alcuni tra gli aspetti che vanno considerati nella ridefinizione di un modello di life-cycle ormai obsoleto e dissociato dalla realtà.
Sul piano pratico, appaiono evidenti queste ripercussioni:
- L’innalzamento del livello di istruzione, unito alla difficoltà di un inserimento stabile nel mondo professionale stanno progressivamente spingendo in avanti l’età di passaggio dalla fase giovanile a quella lavorativa. Secondo Eurostat l’uscita dalla casa dei genitori avviene in media a 30,1 anni in Italia; secondo un altro studio della fondazione Visentini, il Belpaese è al penultimo posto per equità intergenerazionale in Europa (fa peggio solo la Grecia) e l’indipendenza economica dei “giovani” si raggiungerà nel prossimo futuro addirittura a 40 anni.
- L’aumento della precarietà, ma soprattutto le riforme strutturali operate negli ultimi anni per tentare di ripristinare l’equilibrio del sistema previdenziale hanno da tempo procrastinato l’uscita dal mondo del lavoro e l’ingresso nella fase di vecchiaia. Ricordiamo che nel 1980 l’età media di pensionamento era di poco superiore ai 50 anni, nel 2018 è stata di 61 anni per le prestazioni di anzianità e di 66 per quelle di vecchiaia.
- La ricerca ed il progresso in generale hanno portato ad un miglioramento delle condizioni di vita e ad un sensibile allungamento della stessa. Di conseguenza, anche la terza ed ultima fase del ciclo terreno di una persona si è dilatata. Quando è nata la teoria del life-cycle la speranza di vita era di circa 66 anni, oggi supera gli 82 anni. Tale situazione, certamente positiva, genera tuttavia un forte incremento della spesa sanitaria (c.d. “acute care”) che inevitabilmente accompagna le persone in tarda età.
Questi fenomeni dovrebbero stimolare automatiche contromisure sul piano finanziario. Sebbene non sia ancora percepita come tale, la trasformazione del ciclo vitale rappresenta una seria patologia che in assenza di adeguata profilassi può degenerare e sfociare in conseguenze finanziarie particolarmente dannose.
A nostro avviso, il più importante comportamento che andrebbe caldeggiato è il seguente: la capacità di accantonare risparmio nella fase lavorativa dovrà necessariamente crescere.
Serviranno sempre più soldi per fronteggiare le due fasi di vita in cui siamo in deficit: quella giovanile e quella di pensionamento.
Serviranno dunque sempre più soldi, rispettivamente, per mantenere i figli e per mantenere sé stessi quando si diventa vecchi.
Questo è un concetto fondamentale, irrimandabile, capace di fare realmente la differenza per chi lo coglie subito sfruttando a suo vantaggio l’unico grande alleato: il tempo.
Per approfondire questi ed altri temi legati alla pianificazione hai a disposizione a questo link Kaidan, la prima piattaforma di formazione dedicata al consulente finanziario: https://kaidan.ecomatica.it