La Ue fulmina la Cina sull’auto elettrica: dazi fino al 48%

Le tariffe aggiuntive in vigore dal 4 luglio, ecco cosa succede ai veicoli del Dragone. La Germania si oppone

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Dopo gli Stati Uniti, anche l’Unione Europea alza la barriera doganale fino al 48% nel tentativo di far schiantare le auto elettriche cinesi importate nel Vecchio continente. La decisione è stata presa dopo nove mesi di indagine nella quale la Commissione Ue ha accertato la concorrenza sleale dei produttori di Pechino, perché  sono sostenuti da ingenti sussidi pubblici.

In sostanza, quello commesso dalle case attive sotto la Grande muraglia è ritenuto “dumping” da Bruxelles. Fumante di ira il Dragone che ha accusato l’Europa di protezionismo, di aver snobbato le regole del Wto e ha annunciato ritorsioni. Un’alta tensione che non potrà certo agevolare gli scambi e quindi il Pil mondiale.

Mentre scriviamo Stellantis, che questo pomeriggio affronta gli analisti nell’Investor day, cede l’1,5% in Borsa e passa di mano a poco meno di 20 euro. La guerra dell’auto elettrica si affianca peraltro alla battaglia per il predominio dei microprocessori sempre in corso con il Paese guidato da Xi Jinping e alla corsa a riportare l’uomo sulla Luna per farne una miniera da cui ricavare metalli e terre rare.

Ma torniamo ai maxi-dazi. Dal 4 luglio all’aliquota del 10% finora in vigore si sovrappone una mattonata aggiuntiva che varia dal 17,4% al 38,1%. Qualche esempio? Un cittadino europeo che acquisterà una vettura Byd dovrà corrispondere un dazio aggiuntivo del 17,4%, del 20% per una auto Geely del 38,1% per una macchina Saic.

Aliquota ancora diversa per i gruppi che hanno collaborato alla indagine della Ue, cioè che hanno smascherato il problema: le loro vetture saranno gravate del 21% in più. Al contrario, per i produttori asiatici di auto con la spina che non hanno collaborato alla indagine Ue arriva una penalizzazione del 38,1%.

Il tutto in base alla “quota di colpevolezza” che la Ue ha ritenuto di imputare alle case produttrici. Una sorta di Inferno dantesco dell’auto, con la gradazione del presunto peccato sferrato alla concorrenza. Secondo alcune ricostruzioni, Tesla ha chiesto un diverso trattamento per la sua fabbrica di Shanghai.

Il falco del rigore Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione che supervisione il Commercio, ha subito detto che l’Ue non nutre alcun impulso protezionistico rispetto al proprio mercato ma pretende che sia garantita una concorrenza “leale”. Cioè vuole risolvere le “distorsioni” con Pechino e permettere ai propri gruppi automobilistici di giocare a parità di condizioni.

Non mancano comunque  le voci dissonanti anche tra gli Stati europei, a partire dalla Germania che da tempo chiedeva di non procedere. Sull’Aventino anche Svezia e Ungheria. Soddisfatte invece la Francia e il governo italiano con il ministro Adolfo Urso.

Compiendo una inversione di marcia rispetto al suo giudizio iniziale, si era detta contraria ai dazi aggiuntivi anti-asiatici anche Stellantis, che si intanto si appresta a vendere nei suoi concessionari europoei le auto dell’alleato cinese Leapmotors. L’amministratore delegato Carlos Tavares si era giustificato, avvertendo che la stretta protezionistica avrebbe finito con diventare un boomerang, che indebolirà il settore e la sua filiera nell’eurozona.

Leggi anche: Auto elettrica, rischio stangata sul pieno alla colonnina.

Allo stato attuale la Cina impone una tariffa del 15% ai veicoli europei che varcano la sua dogana. Un mese fa gli Stati Uniti hanno deciso di portare dal 25% al 100% i dazi sui veicoli prodotti sotto la Grande Muraglia. La guerra è appena iniziata. Alla fine, come accade in qualsiasi conflitto commerciale, ci perderemo tutti: dal Pil agli automobilisti.

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