Secondo quanto emerge dagli ultimi dati divulgati dall’Istat, tra il secondo trimestre 2020 e lo stesso periodo del 2019, ci sono settori i cui lavoratori hanno risentito più sensibilmente del lockdown primaverile. In particolare, il numero degli occupati della ristorazione è calato, nell’ultimo periodo preso in esame dall’Istituto, di 158 mila unità, per una contrazione del 13%. Perdite importanti si registrano anche per le attività creative, artistiche e di intrattenimento, parimenti interessate dalle nuove chiusure, che sempre a giugno 2020 segnavano un calo degli occupati del 6,6%, significativo per un settore che, pur contando piccoli numeri, è caratterizzato già di suo da un alto tasso di precarietà. E anche tra gli occupati nel settore dello sport e dell’intrattenimento, il saldo a metà anno era di 7,4% lavoratori in meno. In sostanza, i medesimi settori che più hanno sofferto per il lockdown di marzo e aprile rischiano, ora, con l’ultimo DPCM firmato il 24 ottobre, di pagare un prezzo ancora più alto da un punto di vista lavorativo. Complessivamente, i tre comparti interessati dai nuovi provvedimenti hanno avuto, a seguito delle chiusure primaverili, un calo di 176 mila occupati (12%), contribuendo al 20% delle perdite di lavoro registrate nell’ultimo anno.
Il nuovo decreto, con l’interruzione anticipata alle 18 delle attività ristorative e la sospensione di gran parte di quelle sportive e di intrattenimento culturale (cinema, teatri, concerti), potrebbe portare nei prossimi mesi, al di là dei ristori previsti, all’ulteriore assottigliamento di un bacino occupazionale importante per l’economia italiana che, tra lavoratori della ristorazione (1mln e 192 mila), della cultura (145 mila) e dello sport (93 mila), contava a fine 2019 circa 1 mln 430 mila occupati, pari al 6,1% dell’occupazione italiana. Un bacino che si presenta fortemente caratterizzato sotto il profilo socio-anagrafico e professionale, come emerge dall’analisi condotta a partire dai microdati Istat-Indagine Forze di Lavoro.
Si tratta, innanzitutto, di lavoratori molto giovani. Il 41,3% degli occupati nei tre settori citati ha, infatti, meno di 35 anni, a fronte di un valore medio nazionale, sul totale dell’economia, del 22,1%. Il valore è particolarmente alto nell’ambito delle attività ristorative (42,2%) e attività artistiche e di intrattenimento culturale (41,9%), mentre con riferimento a quelle sportive, scende al 28,4%. Su 100 giovani occupati con meno di 24 anni, il 22,5% lavora nei tre settori indicati, mentre con riferimento alla fascia d’età 25-34 anni, l’incidenza è del 10,6%.
Alla giovane età, si accompagna anche un’alta presenza di donne: se si esclude lo sport, dove è predominante l’occupazione maschile, nella ristorazione ben il 49,4% dei lavoratori è costituito da donne, valore – questo – che si colloca di molto al di sopra della media nazionale (42,3%).
A contraddistinguere, tuttavia, maggiormente l’occupazione dei settori indicati è, nella varietà dei profili, l’elevato livello di precarietà lavorativa, determinata dalle particolari condizioni di impiego dei settori interessati. “Solo” il 42,7% degli occupati ha un contratto a tempo indeterminato, contro un valore medio nazionale del 64,1%. Il 25% ha un’occupazione a termine (contro l’11,7% della media degli occupati in Italia) e il 32,3% è un lavoratore autonomo (contro il 22,7% nazionale).
La situazione è molto diversificata tra i vari ambiti. Nella ristorazione, settore di gran lunga più rilevante dal punto di vista numerico, a fronte del 45,8% di occupati a tempo indeterminato, il 29% è composto autonomi e il 25,3% da lavoratori a termine. Nel settore dello sport, invece, il lavoro autonomo è di gran lunga maggioritario: è occupato in proprio il 66,4% dei lavoratori, il 22% ha un contratto a tempo indeterminato e l’11,5% determinato. Nell’ambito dello spettacolo, gli occupati appaiono, invece, quasi perfettamente tripartiti tra lavoratori autonomi (37,7%), a tempo determinato (31,2%) e indeterminato (31,1%).
La precarietà della condizione professionale si sposa poi con l’anomalia degli orari cui sono generalmente posti i lavoratori di tutti e tre i settori, dove si registra una percentuale molto più elevata della media nazionale di lavoratori part-time: 37,5% contro il 19% nazionale. In particolare, tra le attività artistiche e di intrattenimento culturale, tale quota sale al 41,8%.
L’insieme dei fattori descritti si ripercuote direttamente sui livelli retributivi. Si è, infatti, in presenza di una platea di soggetti a basso e bassissimo reddito, la cui condizione – occupazionale ed economica – appare molto più fragile della media dei lavoratori italiani: più della metà (il 57,9%) percepisce un reddito netto mensile inferiore ai mille euro (contro un valore del 24,9% tra tutti gli occupati), con l’unica eccezione del settore sportivo che risulta più allineato alle retribuzioni medie. Nella ristorazione, il valore arriva quasi al 60% mentre nel settore dello spettacolo al 53,1%; più nel dettaglio, il 16,3% ha una retribuzione netta mensile inferiore ai 500 euro, il 16,5% tra i 500 e 750 euro, e il 25,1% tra i 750 e 1000 euro.
A livello geografico va registrata la maggiore concentrazione di occupazione nella ristorazione al Sud Italia (28,4%) e delle attività sportive e creative culturali al Centro, dove lavora rispettivamente il 30,2% e 27% degli occupati di settore. In queste due aree l’incidenza degli occupati nei tre settori appare leggermente più elevata che al Nord Italia (6,9% al Centro e 6,6% al Sud Italia), in particolare nel Lazio (7,2%), Abruzzo (7,6%), Sardegna (8,3%).