Le nuove sfide globali: dalla crisi ucraina al ritorno dell’inflazione

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Avevamo sognato il ritorno alla normalità. E molti elementi lo davano nelle ultime settimane dietro l’angolo con la progressiva e crescente riduzione degli effetti più gravi della pandemia e con il prevalere di quella variante sudafricana che per i vaccinati provoca nelle grande maggioranza dei casi solo un piccolo e grande raffreddore.

Ma più di un elemento è venuto a turbare le prospettive globali. Sul fronte politico, con la crisi in Ucraina; sul fronte economico, con il balzo in avanti dell’inflazione e l’esplosione dei prezzi delle materie prime e dell’energia; sul fronte sociale, con la crescita in alcuni paesi delle proteste contro le misure di controllo sanitario.

È così che lo scenario economico di queste prime settimane del 2022 sembra confermare la principale legge di Murphy, dal nome di un leggendario ingegnere aeronautico statunitense, una legge che dice: “Se qualcosa può andare storto, lo farà. E nel momento peggiore possibile”.

Ci siamo trovati all’improvviso in un mondo nuovo. Solo pochi mesi fa la stabilità dei prezzi era diventata un postulato, i tassi di interesse a zero e la politica monetaria espansiva sembravano nella natura delle cose, una crescita continua sembrava poter offrire le risorse necessarie per una politica di risanamento ambientale e di lotta ai cambiamenti climatici.

Ora tutto sembra cambiato e tornano in primo piano scenari del secolo scorso. Quando l’embargo dei produttori del Medio Oriente portò ad un balzo dei prezzi del petrolio con una parallela difficoltà degli approvvigionamenti. Agli inizio degli anni ’70 vennero imposte le domeniche a piedi con effetti più simbolici che reali.

Ma in quel periodo, forse per la prima volta, i prezzi del petrolio vennero fissati dalla legge della domanda e dell’offerta e non più tenendo come riferimento i prezzi di produzione. Prima dell’embargo il petrolio quotava tra i 3 e i 4 dollari al barile, poco più del costo dell’estrazione del trasporto,  per poi salire in pochi mesi tra i 15 e i 20.

Il rischio ora di una nuova spirale inflazionistica è sempre più evidente. Così come è evidente che non potrà che riaprirsi il conflitto tra capitale e lavoro, tra profitti e salari. Da una parte c’è l’esigenza di salvaguardare il potere d’acquisto delle famiglie, dall’altra la parallela necessità di non aggravare ancora di più i costi per le imprese. Ma non è facile cercare nello stesso tempo di limitare gli effetti negativi dell’inflazione e di non aggiungere benzina sul fuoco dell’aumento dei prezzi.

Per le imprese il momento è particolarmente delicato. I costi delle materie prime e dell’energia continuano ad aumentare, costi che devono necessariamente essere almeno in parte scaricati sui listini dei prezzi. D’altra parte un aumento dei prezzi non può che provocare una parallela diminuzione della domanda per gli inevitabili riflessi sulla propensione all’acquisto di tutti quei beni (e sono tanti) che non sono indispensabili alla vita quotidiana.

Il sistema dei prezzi, come ha chiaramente spiegato Friedrich von Hayek, è peraltro un elemento tra i più importanti per garantire l’efficienza dei mercati. Tenendo peraltro conto che qualunque intervento ha comunque un costo perché nella dinamica dell’economia, come diceva un altro grande economista, “nessun pasto è gratis”.

Guardiamo alla realtà. L’aumento dei prezzi del gas segnala una scarsità dell’offerta. Le strade per limitare i danni da parte del Governo possono essere due. O intermediare il gas rivendendolo a prezzi calmierati, oppure non intervenire sul mercato e sostenere i redditi di famiglie e imprese. Nel primo caso gli aumenti dei prezzi non avrebbero influenza nelle scelte di politica energetica, nel secondo caso si limiterebbero gli effetti negativi, ma diventerebbe più pressante la necessità di controllare i consumi e diversificare le fonti. E quindi rispondere costruttivamente alle esigenze imposte dagli aumenti dei prezzi.

Quando sono dirigisti gli interventi pubblici sul fronte dell’inflazione hanno molto spesso effetti positivi solo a breve termine perché prima o poi si arriva alla resa dei conti. Contrastare le fiammate dei prezzi con un aumento della spesa pubblica, e quindi con nuovi debiti, mette infatti sempre più a rischio la sostenibilità dei sistemi di welfare già messi a dura prova dagli interventi che sono stati resi necessari per sostenere le attività economiche e i redditi nella lotta alla pandemia.

Allo stesso modo introdurre meccanismi di indicizzazione automatica, come quello che nel secolo scorso veniva chiamato “scala mobile” porterebbe, come dimostra l’esperienza del passato,  ad alimentare l’inflazione al di là delle cause di base che l’hanno provocata.

In questa particolare fase dell’economia anche se l’inflazione non verrà riassorbita rapidamente, come speravano fino a qualche settimana fa i banchieri centrali, vi sono molti elementi che fanno ritenere come probabile entro l’anno almeno un taglio delle punte più elevate dell’aumento dei prezzi. Per superare questo momento difficile non ci sono interventi risolutivi:  c’è un costo da pagare che va diviso tra capitale e lavoro, tra profitti e salari. Lo Stato dovrebbe avere solo il compito di rendere più efficiente il mercato.

 

Gianfranco Fabi, 23 febbraio 2022

 

 

 

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