Leader politici ed economici: è l’ora della responsabilità

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Proprio in questi caldi giorni di luglio, nel 1860 in Sicilia si svolse la sanguinosa battaglia di Milazzo. I 1000 che nel frattempo erano diventati 6000 incontrano un comandante borbonico preparato e affatto intenzionato a darla vinta, anche se dalla sua aveva un numero di uomini nettamente inferiore.

Sappiamo che i garibaldini avevano nel loro Generale la loro arma segreta per almeno due motivi. Il primo è che grazie ai suoi fratelli massoni, forse era uno degli esponenti di spicco del secolo, aveva una fitta rete di alleanze e di aiuti che si concretizzò nel momento decisivo della battaglia, in una modernissima cannoniera, che dopo essersi consegnata ai garibaldini, cannoneggiò la fortezza di Milazzo inducendo i borbonici alla resa. Il secondo è quello che ci interessa di più. Garibaldi è stato un personaggio controverso, esaltato da agiografie compiacenti come una specie di santo e denigrato da più recenti meridionalisti come un avventuriero o addirittura un bandito.

Una cosa è certa, era sempre in prima linea a guidare i suoi uomini.

Anche a Milazzo era così. Nelle prime difficili giornate quando i garibaldini lasciano sul campo 800 fra morti e feriti, lui è li che non si risparmia. Era talmente davanti che viene colpito da un proiettile, pensate che allora vuol dire che era a poche decine di metri, che gli strappa la staffa del cavallo e la suola dello stivale ferendolo al piede.

Disarcionato e senza armi, rimaste sul cavallo, ferito sta per essere sopraffatto quando alcuni fedelissimi lo trasportano di peso nelle retrovie.

Poco meno di mezzo secolo prima, tremila miglia più a nord, un altro generale che di solito non si risparmiava, perde una epica battaglia perché troppo lontano dal fronte di combattimento, in un terreno che non aveva scelto e non conosceva.

Mappe sbagliate, ordini che non arrivano o arrivano in ritardo, fraintendimenti ed esitazioni lo portano a perdere una battaglia che nel pomeriggio era vinta e poche ore dopo divenne l’emblema stesso della sconfitta: Waterloo.

Napoleone a Waterloo era tormentato da un fortissimo attacco di emorroidi. Un male imbarazzante per un uomo del suo lignaggio ma soprattutto un male che gli impediva di cavalcare fino alla prima linea per rendersi personalmente conto di cosa stava avvenendo.

Ecco noi abbiamo un sacco di leader malati di emorroidi, che non staccano il sedere dalla loro sedia, nelle belle stanze con aria condizionata e ogni confort.

Fuori si sta formando la tempesta del secolo e loro hanno il tempo di fare sofisticate considerazioni sulla loro immagine, su come salvare la faccia senza compromettere anni di successi, veri o presunti.

Questo nel migliore dei casi. Nel peggiore si calcolano con precisione certosina i giorni mancanti per il proprio vitalizio, o le azioni mediatiche da effettuare senza nessuno scrupolo, per un presunto guadagno di qualche frazione di punto alle prossime elezioni.

Non pensate che nelle aziende sia diverso.

Soprattutto in quelle grandi, i manager asserragliati nei loro Headquarters, pensano a quale influencer affidare l’immagine dell’impresa per il prossimo autunno. Certo sono manager moderni ed illuminati, guardano avanti e pensano al futuro lontano, l’autunno appunto.

Gli influencer sono gli pseudoleader cui viene delegata la rappresentanza. Poveri noi.

Quest’anno, se dovessi pensare ad un morbo più pestifero del covid, direi senza dubbio: la non consapevolezza. E i leader fanno scuola.

Andate in giro all’ora dell’aperitivo, quando la calura un pochino ha mollato la presa. Vedete forse facce deformate da un po’ di sana paura per il futuro? No assolutamente no. Tutte facce da like, che fanno le labbra a cuore o fotografano una allegria falsa e fuori luogo.

Per fortuna non è sempre così.

Un mio carissimo amico, al vertice di una importante banca italiana non sta fermo un attimo. Macina un numero incredibile di km ed incontri che lo portano ogni giorno in mezzo alla gente, alla sua gente. Là dove ci sono problemi, porta soluzioni o visioni cercando di far immaginare, numeri alla mano, un futuro che abbia un respiro coerente con la parola.

Dove regna l’inconsapevolezza invita alla vigilanza, per adottare tutti quei provvedimenti che possano difendere il risparmio dei clienti. Prima di tutto essere al loro fianco tutte le volte che serve. Che meraviglia!

Guadagna molto? Certo, se lo merita e ne siamo felici. La sua azienda va bene a dispetto del periodo? Certo, come dubitarne? Noi non dobbiamo essere rancorosi per le auto blu che scarrozzano i leader. Il fatto è che quelle auto blu dovrebbero avere come destinazione il campo di battaglia e non la fiera delle vanità e dell’inutilità. Se non addirittura la fiera del danno.

Essere leader, non è di per sé una benedizione. È un talento che il Padreterno può dare o non dare e che di certo bisogna onorare. Prima ancora che la vittoria, il leader deve saper gestire la sconfitta, non pensando a sé e alle conseguenze per la propria immagine ma a come vincere la prossima battaglia.

Come il Generale Desaix che il 14 giugno del 1800, chiamato da un Napoleone attaccato a sorpresa dagli austriaci e ormai soccombente, irrompe sul campo di battaglia di Marengo e rincuora il suo capo sconfitto: -Ormai questa battaglia è persa ma sono le 2 e abbiamo il tempo per vincerne un’altra!

Così fu, anche se il prode Desaix si beccò un proiettile in pieno petto e non ebbe modo di festeggiare la vittoria. Questi sono i generali che ci servono! Ricordiamocene se ci mandano a votare o se dobbiamo decidere di rimanere in una azienda o cambiare.

Sarebbe disposta questa gente a prendersi un proiettile per noi?

 

Giuseppe Mascitelli, 20 luglio 2022

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