Economia

L’Italia d’oro, la forza del desiderio dell’emulazione.

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Måneskin, Jacobs, Donnarumma, Tamberi, Berettini, Tortu, Busà, Palmisano, Tita e Banti, Stano e tutti gli altri che non cito ma ringrazio. Sono i nomi che accompagneranno un’intera generazione di bambini e di ragazzi durante la loro vita. Donne e uomini di domani che oggi e per sempre ricorderanno la primavera e l’estate del 2021. Ricorderanno questi giorni e notti magiche, questi momenti d’oro e di successo e da essi saranno ispirati. Il 2021, quell’anno incredibile che il mondo ha consacrato alla battaglia contro il virus, dopo un lungo periodo di lutto e di lockdown, e che ci ha visti increduli agli occhi di tutti i popoli del globo essere incredibilmente capaci di cose che avevano dimenticato di saper fare e che neanche immaginavamo di poter realizzare.

Oggi il mondo e l’Italia lo sanno: cantiamo meglio, corriamo e pedaliamo più veloci, saltiamo più in alto, marciamo più forte, le pariamo tutte, meniamo duro e a strambare siamo i più rapidi nel mare. Siamo la prima nazione europea nel medagliere olimpico, del resto l’Inghilterra ha fatto Brexit e non va contata. E il PIL cresce, più di Francia e Germania. Nei consessi internazionali quando parla il nostro premier “tutti stanno zitti ad ascoltare, perché è un maestro”, come ha detto del primo ministro spagnolo Sanchez.

Un tempo era Bartali, come cantava Paolo Conte, a far incazzare i francesi che poi però “ci rispettano / che le balle ancora gli girano”. Quest’anno invece sono Chiellini e Jacobs a far infuriare prima gli inglesi e poi gli americani, pieni di velenosi sospetti. Se non fosse che poi arriva Tortu sul filo di lana, un centesimo più veloce, a dimostrargli che hanno proprio torto, gli uni e gli altri. Non è doping, ma è un’altra la pozione magica di questi successi.

Sono i momenti incredibili di allineamenti astrali, che per chi non crede all’oroscopo o alle varie divinità degli uomini, vuol dire più semplicemente coincidenze statisticamente non casuali, prodotte da cause che definiscono effetti. Perché la vittoria, nello sport come nella vita, chiama altra vittoria. Basta sentire le prime parole di Jacobs dopo il suo trionfo sui cento metri: “Ho visto Gimbo vincere l’oro nel salto in alto e ho pensato posso farlo anche io.” O quelle ancora più chiare e nitide di Antonella Palmisano campionessa olimpica sulla 20 km di marcia: “Massimo Stano mi ha fatto piangere, mi ha fatto venire i brividi e mi ha dato una carica pazzesca. E poi è arrivato tutto sulla scia dei successi di Jacobs e Tamberi e anche della nazionale di calcio: è un periodo magico per l’Italia”.

Ecco è l’emulazione il segreto di questa magica folle primavera che si tuffa nell’estate di successi e renderà indimenticabile questo anno di trionfi nella musica, nello sport, nella politica degli italiani. Se ci pensiamo bene l’emulazione è il sentimento che ha destato l’Italia dello sport. Un paese che nell’esempio dell’altro ha trovato e trova la forza per dare di più, trova la spinta per crederci, trova il motivo per dimostrare che è possibile farcela. Che anche lui o lei ce la può fare. Perché chi emula sopra ogni altra cosa vuole l’amore che ha visto riceve puro, perfetto, incondizionato ai suoi predecessori.

Perché aemulus, parola latina da cui deriva emulazione non è altri che il rivale in amore. Al quale si vuole rubare ciò che di più desideriamo. Emulare è la versione bella del copiare, perché comprensibile, possibile e che non prevede reprimende, ma solo ammirazione per lo sforzo di tentare. Si vuole emulare chi già sa, chi ha potuto godere della gloria e dell’amore. Si emula il fratello maggiore, il grande artista, il campione. Tanti giovani sportivi emuleranno questi nuovi eroi e lo diventeranno a loro volta. In questi giorni giapponesi i nostri atleti hanno imparato a emularsi a vicenda, a cercare di prendersi il loro pezzo di amore.

L’amore di un paese che non è mai salito così in alto in un medagliere olimpico,  che non ha mai avuto così tanta considerazione da parte degli alleati, che non ha mai giocato così bene, vincendo, a pallone, che ha bruciato gli spartiti pieni di melodie con rime in cuore e amore per scoprirsi incredibilmente rock. Un paese che gioisce per ragazzi con il tricolore sulla pelle scura, nati a El Paso o chissà dove, ma italiani senza bisogno di documenti da presentare. Un paese vecchio, certo, ma che scopre questa generazione più giovane e vogliosa. Che osa, studia, fatica, emula, riuscendoci, a prendersi il suo pezzo di amore. Una generazione che ha scelto invece di invidiare, ovvero di guardare male l’altro e lasciarsi così traviare dallo sguardo bieco e bilioso di chi nell’osservare il successo altrui prova il sentimento dello sconforto paralizzante e distruttivo, di più. Semplicemente emulare.

Di tendere allo sforzo attivo e sfibrante della conquista. Senza recriminare, senza sproloquiare che uno vale l’altro, che sapere o non sapere in fondo è la stessa cosa. Una generazione che mette in soffitta l’incompetenza elevata a virtù, la scorciatoia della recriminazione senza proposta come pass per il potere.

Le stelle si allineano solo quando siamo davvero capaci di guardarle e desiderarle. Desiderio è guardare le stelle, ciò che è lontano e ci manca. Un Paese che non invidia, non recrimina, ma emula i migliori, i competenti, i vincenti, chi, raggiungendo quelle stelle, è diventato anch’esso stella, inevitabilmente sarà, anzi già è, un paese migliore. 

 
Antonello Barone
 
 
 
 
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