L’Italia incassa la terza pagella positiva dalle signore del rating. Dopo Dbrs e Standand & Poor’s anche l’agenzia Fitch ha confermato il giudizio “BBB” al nostro Paese con prospettive (cioè l’outlook) stabili. Un ottimo risultato per i conti pubblici e l’ultima legge di bilancio, firmata dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in vista della prova capitale in agenda venerdì prossimo, 17 novembre, quando la parola passerà a Moody’s, la più severa dei giudici del rating, per la quale la Penisola è appena sopra il livello dell’investment grade.
Fitch si sofferma sull’alto consenso popolare su cui poggia il governo, sorretto anche in ambito parlamentare di “una maggioranza più stabile” di quanto non sia accaduto a molti esecutivi che lo hanno preceduto. In sintesi, ora il Paese può ragionare a medio termine e, soprattutto, fare le riforme; lo stesso obiettivo – aggiungiamo noi – a cui punta anche la riforma del premierato.
Inutile nascondersi dietro un dito, i problemi allo Stivale non mancano. Tanto che Fitch stima ora il Pil in crescita di uno scarno 0,9%, un po’ meglio delle stime della Nadef (+0,8%), ma lontanissimo dallo score del 2022 (+3,7%). Nè cambierà molto il prossimo anno, quando l’economia si espanderà dell’1 percento. Ne consegue che il macigno del debito pubblico resta arduo da portare sulle spalle per il Tesoro, anche in considerazione della “notevole pressione politica” esercitata sul governo Meloni circa il rispetto del programma elettorale, avverte l’agenzia di rating, citando il caso della riforma delle pensioni.
Va però anche detto che ha mandare in frantumi la crescita del Pil italiano questa volta è un fattore esterno: la colpa è dei martellanti rialzi dei tassi da parte della Bce. Che la presidente Christine Lagarde avesse combinato l’ennesimo pasticcio lo abbiamo già scritto, sia sul fronte del crollo del mercato della casa sia su quello degli investimenti delle imprese, ma il quadro assume tinte sempre più fosche.
L’Istat ha infatti definito “incerte” le prospettive economiche della Penisola davanti a una produzione industriale imbalsamata a crescita zero a settembre e in calo del 2% su base annua. Senza dimenticare che Bankitalia registra nuovi problemi sul fronte di mutui e prestiti: se quelli alle famiglie sono scesi dello 0,9%, ben peggio è andata infatti alle imprese (-6,7%). Per non parlare delle preoccupazioni striscianti su un possibile credit crunch e i consumi che si sgretolano, complice la fetta più debole della popolazione che fatica a fare la spesa e una classe media tartassata oltre ogni misura.
Insomma, senza la spinta del Pnrr e una vera riforma del fisco che abbassi le tasse, di cui hanno rappresentato solo un assaggio la modifica agli scaglioni Irpef e il concordato preventivo biennale per le piccole imprese e le partite Iva.
Molto peggio è andata però ieri notte agli Stati Uniti, presi a schiaffi senza reverenza alcuna proprio da Moody’s. L’agenzia, pur confermando la tripla A a Washington le ha tolto la serenità delle prospettive, portando l’outlook da “stabile” a “negativo”, cioè l’anticamera di un possibile prossima bocciatura sul fronte del rating se gli Usa non cambiano passo sul fronte della spesa pubblica. Un affronto per Joe Biden nel pieno della campagna elettorale, che ha già mandato su tutte le furie la Casa Bianca.