L’Italia supera il test di Standard & Poor’s, il primo dei quattro previsti da qui a un mese con tutte le agenzie di rating pronte ad aggiornare la pagella di affidabilità del nostro Paese. S&P ieri notte ha confermato sia il rating BBB sia l’outlook Stabile. Due, in sintesi, le buone notizie:
- il nostro debito pubblico rimane due gradini sopra, quindi a una discreta distanza di sicurezza, dal baratro del “Junk”; quello sotto il quale i Bot e i Btp perderebbero il bollino “investment grade” e quindi non sarebbero più acquistabili dai tradizionali fondi di investimento, perchè giudicati “Spazzatura”;
- l’outlook resta “Stabile”, quindi S&P non pensa che le situazione dei conti pubblici sia destinata a peggiorare.
Smentiti insomma i gufi dello spread che avevano gridato per giorni all’allarme conti pubblici. La Nadef e la Manovra appena varate superano l’esame del mercato, come peraltro aveva lasciato intendere il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, impegnato da settimane in confronti con le agenzie di rating e sicuro di aver impostato la legge di bilancio sulla prudenza anche a costo di distribuire “schiaffoni” ai ministeri per respingere le richieste di spesa eccessiva. Giorgetti stesso venerdì, prima del verdetto di S&P, si era mostrato fiducioso che il giudizio si sarebbe basato sui fatti e non sul gossip.
Se queste sono le luci, non mancano le ombre. Le casse pubbliche restano infatti semivuote e, conferma S&P, il Superbonus ideato dal governo Conte si è mangiato il tesoretto: quest’anno il deficit/Pil dell’Italia dovrebbe arrivare al 5,5%, complice un ammanco aggiuntivo dello 0,8% legato proprio all’incentivo per migliorare l’efficienza energetica delle case.
Il risanamento del bilancio pubblico sarà quindi «più lento del previsto” e anche il 2024 potrebbe deludere dal punto di vista della crescita: S&P stima che tra aumento degli interessi dovuti agli incessanti rialzi ai tassi da parte della Bce e alla spesa pensionistica, il deficit sarà al 4,7% del Pil il prossimo anno, ben al di sopra quindi della promessa del 4,3% formulata dal governo che a sua volta viola già gli accordi comunitari. Anche perchè la stessa crescita, avverte l’agenzia, è destinata a rallentare (+0,9% quest’anno e +0,7% il prossimo) rispetto ai calcoli stilati del Tesoro.
Non proprio il massimo in vista del ritorno in vigore da gennaio del Patto di Stabilità che, pur rivisto, imporrà di ridurre debito il deficit a tutti i Paesi europei, forse scorporando le spese per gli investimenti. I nostri bond pubblici resteranno insomma fragili dinanzi alle tensioni esterne del mercato, con prevedibili oscillazioni dello spread. Da qui la contromossa del Mef di metterne il più possibile al sicuro nelle tasche dei piccoli risparmiatori italiani, pazienti “cassettisti” che investono su orizzonti di medio-lungo termine, con collocamenti di successo come quello del Btp Valore e l’idea di scorporarne il possesso ai fini del computo dell’Isee.
Di certo il contesto internazionale con due guerre in corso non è dei più rassicuranti, neppure dal punto di vista dell’energia e quindi dei costi delle bollette, senza dimenticare che anche il mercato immobiliare sta scricchiolando come compravendite sotto il peso dei tassi di interesse così come i conti di molte piccole e medie imprese.
A Governo e Parlamento non resta che completare i compiti a casa: in un bagno di realismo e nel rispetto degli stretti spazi lasciati dalla Manovra, occorre concentrare le poche risorse esistenti sulla crescita, completando entro fine legislatura la riforma fiscale abbozzata in manovra con la rimodulazione degli scaglioni dell’Irpef, tagliando le tasse, rivedere le pensioni e procedere con le privatizzazioni: ieri il Tesoro ha individuato in Ubs, Jefferies e Clifford Chance i consulenti finanziari e legali per la vendita del Monte Paschi.
I prossimi appuntamenti con le agenzie di rating sono il 27 ottobre con la canadese Dbrs, che lo scorso maggio aveva promosso l’Italia, il 10 novembre con Fitch che nel round precedente aveva confermato rating e prospettive dell’Italia mentre il 17 novembre sarà la volta di Moody’s. Quest’ultima è la più temuta perchè quest’ultima colloca il nostro debito pubblico solo un gradino sopra l’investment grade e lo scorso maggio ha deciso di sospendere il giudizio. Cerchiamo di non farci mettere un pacco-bomba per i conti pubblici sotto l’albero di Natale.