Made in Italy sotto attaco. L’Unione Europea dichiara guerra a cibo e vino

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Se esiste un brand riconosciuto in tutto il mondo, anche negli angoli più remoti della terra, è senza alcun dubbio il Made in Italy ed ancor di più il cibo italiano, la dieta mediterranea ed il vino di cui siamo i primi produttori al mondo.

In termini economici l’Italian food vale il 25% del PIL ed il vino incide per ben 11 miliardi di euro l’anno. Tradotto significa che su circa 1800 miliardi di PIL più di un quarto di essi sono ascrivibili al settore agro-alimentare.

Da tempo immemore però è in atto una delegittimazione dei prodotti tricolore portata avanti mediante vari tentativi mal riusciti supportati dall’Unione Europea; ricordiamo tutti il parmesan tedesco che volevano far passare come originale, addirittura con il latte in polvere che sarebbe diventato uno standard approvato dalla UE.

Ma non è il solo esempio, pensiamo alla mozzarella per la quale ci fu imposto di eliminare le norme antisofisticazione mirate a preservare l’originalità del prodotto e la genuinità degli ingredienti; possiamo continuare con il nutriscore ed invenzioni simili al solo scopo di denigrare la qualità (tra l’altro certificata) italiana per poterci rubare, o se preferite, sottrarre illegittimamente importanti quote di mercato.

Inoltre, tutti questi attentati sono giunti dopo le pesanti limitazioni alle esportazioni (che l’adesione alla UE ha comportato) di prodotti con i quali dettavamo legge nel mondo: pomodori, olio, latte, arance e limoni. È infatti storia tutto ciò che accadde all’epoca delle famose quote latte imposte all’Italia, idem per le arance di Sicilia il cui surplus produttivo doveva essere distrutto e così di seguito per i prodotti di punta del nostro export alimentare.

Oggi la storia sembra ripetersi ed ha probabilmente anche venature di carattere politico ben mascherate dall’intramontabile alibi della fame nel mondo e della tutela dell’ambiente.

La nostra colpa è quella di aver scelto un Governo di un colore differente da quello preferito dai vertici UE e soprattutto quella di essere un Paese leader in materia di alimentazione e genuinità dei prodotti.

Ciò che pretende l’Unione Europea (naturalmente pressata da nazioni nostre concorrenti perdenti) sarebbe una sorta di declassamento della nostra riconosciuta qualità e, non potendo ottenere ciò vietandoci di produrre usando metodi naturali e senza alcuna sofisticazione, tentano di imporre vere e proprie sentenze (che devono accompagnare i prodotti in bella vista sull’etichetta) o approvare processi produttivi con elementi di scarsa qualità per poi livellare verso il basso la qualità italiana.

Ecco, quindi, la boutade che il vino nuocerebbe gravemente alla salute, inciso che dovrebbe essere scritto sulle etichette e che, assurdamente, anche qualche illustre luminare (?) italico della scienza sostiene, ed ecco spiegata anche l’accelerazione all’imposizione degli insetti nella catena produttiva delle farine e di altri prodotti quali snacks, biscotti e simili … ed oltre.

Se ipoteticamente decidessimo di calcolare quanto è costata all’Italia l’adesione alla UE, per il solo settore agroalimentare, avremmo una cifra i cui zeri non entrerebbero in un foglio A4.

Inoltre, la diminuzione delle esportazioni (imposta) ha inevitabilmente creato disoccupazione di settore mai riassorbita; nonostante ciò, l’Italia è rimasta Paese leader di mercato e non va bene … ergo bisogna distruggerla.

Si prospettano anni difficili per il nuovo Esecutivo e soprattutto riaffiora tra la popolazione l’antieuropeismo dormiente anche grazie ad una maggiore informazione su cosa si cela dietro le quinte dei tre grandi palcoscenici dai quali si dettano le regole comuni, Strasburgo, Francoforte e Bruxelles (tangenti Qatariane incluse …).

Il cibo (vino incluso ovviamente) è uno dei pochi settori d’eccellenza che ci sono rimasti dopo il progressivo sgretolamento, espatrio o svendita delle aziende trainanti del marchio Italia; pesa ancora oggi l’ingresso nell’Unione deciso in maniera superficiale, soprattutto pesa l’adesione all’Euro accettata a condizioni di subalternità ed in totale assenza di un apposito staff che avrebbe dovuto analizzare le reali conseguenze che si sarebbero abbattute sull’Italia.

Non a caso l’incremento di circa il 18% dell’export alimentare fuori UE (dati 2021) ha scosso i paesi membri concorrenti spingendoli a correre ai ripari e chiedere supporto ai vertici Comunitari per tutelare le loro fette di mercato perché, inevitabilmente, se nel mondo c’è più Italia è logico che c’è meno di molti altri Paesi concorrenti.

La libera concorrenza è naturalmente un presupposto base a patto si operi entro i confini che delimitano le regole comuni cui tutti i Paesi devono attenersi, il problema però è che sono proprio le regole ad essere inique, sia quelle in essere ed ancor di più quelle che l’Unione sta tentando di imporci e che trasformano la libera concorrenza in concorrenza sleale.

Personalmente ritengo che l’Italia sia nuovamente sotto attacco, e non solo nel settore alimentare, e che vi sia un disegno ben preciso mirato ad impossessarsi delle nostre eccellenze attraverso le quali cambiare bandiera sulle fette di mercato tricolore.

Non si tratta di complotto, non lo è stato per la Grecia (lasciata fallire e diventata una colonia infrastrutturale tedesca) e, se l’operazione andrà a buon fine, non lo sarà neanche per l’Italia.

L’Europa basata sui valori fondanti non esiste più, è un dato di fatto più che assodato.

D’altro canto, è lampante la dimostrazione di ciò: com’è possibile perseguire il fine della tutela dell’ambiente e contemporaneamente approvare metodi produttivi alimentari con elementi sintetici o non commestibili fino a ieri?

Mettete un piatto di grilli a tavola della Von Der Leyen ed un bicchiere di whisky irlandese e chiedetele se è un pasto migliore di una caprese italiana con un bicchiere di vino rosso.

 

Italians do it better.

 

Antonino Papa, 4 febbraio 2023

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