“Dal nostro 25 aprile viene un appello alla pace, non ad arrendersi di fronte alla prepotenza. L’attacco violento della Federazione Russa non ha giustificazione. La pretesa di dominare un altro popolo, di invadere, ci riporta alle pagine più buie dell’imperialismo e del colonialismo. La straordinaria conquista della libertà, costata sacrifici e sangue ai popoli europei – e condivisa per molti decenni – non può essere rimossa né cancellata. Sappiamo anche che la libertà non è acquisita una volta per sempre e che, per essa, occorre sapersi impegnare senza riserve. Vale ovunque. In Europa come in Italia”.
Nell’approssimarsi del 77° anniversario della Festa di Liberazione che ricorda la liberazione dell’Italia dal governo fascista e dall’occupazione dell’invasore nazista, con una chiarezza senza infingimenti il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricorda a tutti che la pace non può essere la resa di fronte alla prepotenza.
Lo ricorda però con particolare chiarezza agli equidistanti, ai partigiani dimentichi del valore della Resistenza, ai marciatori della pace che non sanno distinguere fra aggredito e aggressore, a chi si nasconde dietro i né-né, a chi non riesce a guardare la verità semplice e banale del male e degli eventi che accadono sotto i nostri occhi di moderni telespettatori e cerca nella complessità dell’analisi una qualche giustificazione per propinare tesi assolutorie verso le ragioni incomprensibili dell’invasore. Lo ricorda a chi disquisisce fra armi di difesa e di offesa. A chi pretende di concedere il sud dell’Ucraina alla Russia senza fare i conti con il coraggio di un popolo che ha già dimostrato nel corso della Storia a diversi residenti del Cremlino di che pasta sia fatto.
Mattarella lo dice in modo inequivocabile: chiedere all’Ucraina e al suo popolo di fare la pace con l’invasore che bombarda, uccide, stupra, saccheggia, devasta, umilia, mente, concedendogli ciò che desidera significherebbe cancellare un secolo di Storia italiana e di Storia europea. Significherebbe fare un salto all’indietro e tornare ad un tornante della Storia che avrebbe potuto condurci alla dittatura permanente in una Europa tutta in mano ai nazisti.
Significherebbe riavvolgere il nastro della nostra memoria e chiedere ai ragazzi italiani saliti sulle montagne dell’Appennino nel 1943 a far la Resistenza contro gli invasori e i fascisti di scendere a valle e consegnare le armi alle SS senza sparare un colpo. Significherebbe rinnegare la nostra Costituzione, democratica e antifascista. Significherebbe abdicare al diritto di essere governati all’interno delle nazioni e nel consesso internazionale dalle leggi degli uomini e non dal potere dell’uomo più forte.
Siamo dunque dentro un anacronismo asimmetrico della Storia. La guerra guerreggiata, guerra convenzionale fatta di invasioni, bombe, atrocità, crimini, morti è riapparsa sulla mappa europea a scardinare le nostre pacifiche a pacificate abitudini di consumatori occidentali e di pensatori à la page che la guerra, dopo gli orrori del nazifascismo e grazie alla “vittoria alleata”, l’hanno tolta dalla lista delle opzioni possibili della propria esistenza.
Eppure è evidente che dopo la contrapposizione ideologica fra capitalismo (occidentale e atlantico) e comunismo (sovietico e terzomondista) conclusa con la caduta del muro di Berlino due forze si contrappongono nuovamente per definire la propria supremazia sull’altra in un contesto geo-strategico che inevitabilmente deve essere ridisegnato.
Due idee differenti non solo sugli aspetti economici sui quali sorreggere le società contemporanee, ma soprattutto sulla relazione possibile che deve esistere fra gli Stati e fra i cittadini e il potere al loro interno.
Da un lato ci sono le costituzioni democratiche e liberali europee. Nate dopo la parentesi tragica del nazifascismo sconfitto solo grazie al sacrificio della resistenza dei giovani europei e dei ragazzi delle forze alleate, che quelle armi non hanno rifiutato, ma hanno impugnato con la consapevolezza di non poter evitare di scegliere da quale parte della Storia schierarsi.
Da quel sacrificio necessario per sconfiggere un’ideologia nefasta sono nate le nostre società. Società libere, aperte, capaci di integrarsi oltre i confini nazionali e che hanno con tutte le loro contraddizioni garantito comunque oltre 75 anni di crescita economica, di benessere, di allargamento dei diritti, di emancipazione e soprattutto di pace.
Dall’altro lato c’è un sistema di potere incrostato da oltre venti anni attorno al medesimo leader. Un autocrate divenuto dittatore di fatto, che rifugge la contemporaneità, comprime i diritti civili e democratici e lega l’esercizio del suo potere ad una vocazione imperiale e anti-occidentale per riportare la Russia a quella vana gloria a livello internazionale dispersa nel 1917, riassaporata dal 1945 al 1989 e smarrita nuovamente nel 1991. Una vocazione neo-imperiale che può reggersi solo grazie all’aiuto sibillino della vera potenza antidemocratica che fronteggia l’Occidente tutto e gli Stati Uniti in particolare: la Cina.
In Ucraina è cominciata la partita per il dominio del secolo nuovo. E non solo è una partita che mette in palio il dominio strategico ed economico del pianeta, ma il modello di società nel quale saremo in caso di sconfitta, costretti a vivere.
Chi ha memoria, come Mattarella o come Liliana Segre, conosce la verità peritura che conserva la strofa più famosa della canzone emblema della resistenza italiana: Una mattina mi son svegliato e ho trovato l’invasor.
I ragazzi di Kiev, come fecero i nostri partigiani, hanno deciso in quale società vogliono vivere. E sono disposti a cercare la pace giusta nel solo modo nel quale essa possa essere raggiunta: senza resa, con l’aiuto atlantico e con la sconfitta e la cacciata dell’invasore.
Antonello Barone, 23 aprile 2022