Mutui a tasso variabile, la confusione dei sottoscrittori

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Durante questi ultimi sei mesi gli aumenti dei tassi indiscriminati, decisi dalla BCE per “combattere l’inflazione”, ed in linea con le regole basilari dell’economia ma non con la realtà di un’Europa a due velocità, hanno generato difficoltà enormi nel tessuto sociale di quei paesi, come il nostro, non noti per la ricchezza pro capite o per un’alta percentuale di occupati.

Rammentiamo che anche gran parte della cosiddetta borghesia media benestante ha perso potere d’acquisto, ovviamente non solo a causa dei tassi elevati ma anche a seguito dei due anni difficili caratterizzati da pandemia e guerra.

Vi è stato un livellamento scalare verso il basso, chi arrivava a stento a fine mese ora è sotto la soglia di povertà, chi vi arrivava agevolmente ora stenta e chi non aveva alcun problema di carattere finanziario intravede l’ingresso nel tunnel della crisi.

In periodi del genere le banche, e le loro politiche del credito, assumono ruolo fondamentale ma già sappiamo, come anche evidenziato in precedenti articoli, che in Italia il sistema bancario fa sistema e non assolve al 100% a quella funzione sociale necessaria alla crescita del Paese attraverso adeguato supporto alle PMI ed alle famiglie.

Naturalmente sappiamo tutti che la politica dei tassi è demandata alla BCE e che le banche non hanno alcuna voce in capitolo su ciò, ma gli spreads? Gli spread sono decisi dai singoli istituti e, tenendo in debita considerazione le dovute eccezioni, non esiste una politica comune in tal senso atta a stimolare l’accesso al credito pur rinunciando ad una piccola fetta di profitti.

Entriamo ora nel vivo della questione, i mutui a tasso variabile che (naturalmente) non ordina il medico di scegliere, dovuta premessa per non essere tacciati di remare contro il sistema, ma che troppo spesso sono regolati a condizioni non idonee a sostenere realmente il tessuto produttivo (inteso come produttori di reddito, siano esse persone fisiche o giuridiche) in una visione futura in vista di mutamenti economici-finanziari e non solo.

Tutti sanno che quando si richiede un mutuo il primo requisito è il famoso rapporto rata/reddito senza il quale, come si usa dire, non si cantano messe. Poniamo il caso che un cittadino abbia i requisiti per ottenere un mutuo che di solito impone che l’importo della rata non debba superare il 30% delle entrate mensili.

Secondo questi parametri un mutuo a tasso variabile, contratto prima dell’esplosione dell’inflazione, aveva quali condizioni medie massime un tasso globale a circa il 2,50% formato dal tasso (di solito Euribor a 3 mesi) più lo spread che è la vera arma che le banche hanno per decidere di over-performare nei profitti; ed abitualmente quando i tassi sono bassi lo spread incide tra il 65 ed l’85% del tasso effettivo globale, a discrezione degli organi deliberanti, della rischiosità dell’operazione e di altri parametri ma tutto ciò, in gran parte dei casi, sono alibi.

Ad esempio, un mutuo contratto nel 2018 per un importo 220.000 euro a 28 anni comportava una rata di circa 640 euro, ovvero sostenibile nonostante lo spread applicato fosse tra l’1,90% ed il 2,20% considerando che l’Euribor era prossimo allo zero (stiamo parlando di condizioni massime).

Oggi lo stesso mutuo (contratto prima di pandemia, guerra ed inflazione) ha una rata di circa 1.050 euro. Pertanto, la domanda, legittima anche se in contrasto con la normativa contrattuale, che tutti si pongono è … “ma se quando ho contratto il mutuo mi è stato detto che il mio rapporto rata/reddito mi consentiva di pagare non più di 640 euro al mese come mai oggi che ne pago 1.050 quei parametri non valgono più !?”

Domanda più che legittima ma che il menzionato sistema non ha mai tenuto in considerazione perché le obiezioni che vengono sollevate al quesito hanno il solo scopo di tutelare legalmente le banche, ed infatti spesso chi è in difficoltà e chiede rinegoziazione del tasso, limatura dello spread o sospensione del mutuo (non a seguito di imposizioni di Governo) e qualsiasi altro genere di agevolazione si sente rispondere innanzitutto “è stato Lei ad optare per il tasso variabile” oppure “perché non ha scelto il mutuo con CAP? (che sarebbe un tetto massimo, servizio che si paga e non poco).

Tutto perfettamente legale ma non sostanzialmente funzionale a spingere la crescita di un Paese con enormi difficoltà.

Tra l’altro anche l’enorme differenza tra tasso variabile e fisso spesso induce ad optare per il variabile.

Se consideriamo, oltretutto, che nel 70% dei casi le richieste di rinegoziazione vengono rifiutate è chiara la politica dell’over-profitto nel gestire le necessità di reperimento di una risorsa oggi fondamentale come il pane e l’acqua: i soldi.

Cosa deve cambiare? Senza alcun dubbio l’atteggiamento delle banche indirizzato ad essere più collaborative con imprese e cittadini in difficoltà, a concedere le rinegoziazioni (anche per una questione di logica … perché se un cittadino può permettersi al limite 640 euro come potrebbe pagarne 1.050?), a limitare l’ampiezza degli spread in fase di approvazione, soprattutto in vista eventuali aumenti futuri del tasso di riferimento, ed a consigliare (com’è avvenuto per gli investimenti a seguito della Mifid) la scelta migliore per il richiedente.

Sebbene, finalmente, tale strada etica sia stata intrapresa da alcuni istituti, sarebbe auspicabile in ogni caso una rivisitazione delle norme a riguardo, il ché non vuol dire togliere il pane al sistema bancario bensì porre dei paletti in un’ottica di crescita globale della Nazione considerando ogni singolo individuo una risorsa produttiva e non un numero, imporre spread massimi molto più bassi, o almeno inversamente proporzionali ai tassi di riferimento (sempre con un massimo), emanare un nuovo regolamento, a livello Europeo, che detti le linee guida della consulenza del credito al pari di quanto fatto per il settore del risparmio.

Sarebbe sufficiente leggere i dati degli NPL, o consultare la CRIF, per comprendere che è necessario cambiare rotta; in definitiva le difficoltà restano, l’accesso al credito è sempre complicato, a volte impossibile, e il mondo dei finanziamenti in genere è una babele legale che non contribuisce al benessere sociale del Paese.

Le dinamiche socioeconomiche sono mutate ed è alquanto normale adeguare anche il settore del credito considerando che il denaro è (purtroppo) una risorsa fondamentale al pari delle citate acqua e pane.

Antonino Papa, 24 gennaio 2023

 

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