NFT: dalle blockchain un nuovo tipo di certificato digitale

Gli Nft, i cosiddetti Non Fungible Tokens, sono l’ultima evoluzione delle blockchain e stanno mettendo in subbuglio il mondo dell’arte e riscrivendo il concetto di “proprietà digitale”

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In un mio articolo precedente vi avevo introdotti alla tecnologia blockchain e ai suoi vari impieghi, tra cui quello delle criptovalute. Oggi voglio analizzare un nuovo impiego di questo sistema, balzato agli onori della cronaca nelle ultime settimane: gli NFT, certificati digitali di autenticità e proprietà di beni che al momento stanno prendendo sempre più piede nel mondo dell’arte e del collezionismo.


Cosa sono gli NFT

Procedendo con ordine e partendo dalle basi: l’acronimo NFT sta per “Non Fungible Tokens”, espressione traducibile in italiano con “gettone non sostituibile”. Questa nominazione sta ad indicare dei veri e propri token digitali, creati ed archiviati tramite un sistema blockchain, associati univocamente ad un singolo prodotto digitale o fisico. Al contrario però di quanto succede con le criptovalute, dove le varie unità sono sostanzialmente identiche tra loro se non per i codici identificativi differenti, il token che si viene qui a creare è unico e non scambiabile con un altro: questo significa che, una volta immesso nella catena, questo garantirà al legittimo possessore sia la proprietà legale del bene associato che l’autenticità dello stesso.

Dato che all’interno della blockchain viene tenuta traccia di ogni transazione e cha tali dati non possono essere modificati questo assicura l’affidabilità dell’intero sistema. Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare di questi certificati digitali, soprattutto a causa dell’impatto che stanno avendo sul mondo dell’arte e della compravendita di opere digitali: la casa d’aste Christie’s, la più grande esistente al mondo, ha venduto tramite registrazione NFT un’opera in formato digitale dell’artista Beeple per 69 milioni di dollari, sdoganando definitivamente questo sistema.

Questo però non vuol dire che, una volta codificato tramite NFT, un contenuto digitale non sia più fruibile online: riprendendo l’esempio di Beeple anche se l’opera è stata già venduta è possibile comunque ammirarla sul sito di Christies.com anche senza possederne il token. Questo avviene perché l’NFT attesta solo la proprietà di un dato elemento digitale e la sua autenticità, non impedisce che altri possano creare delle copie del file associato a quel token: queste “riproduzioni” non presentano nessuna differenza sostanziale rispetto al pezzo autentico per quanto riguarda la loro fruizione da parte di un qualsiasi utente (sia che si parli di un’immagine che di un brano o altro), ma dato che non sono associate all’NFT verranno considerate solo come tali e non potranno mai essere spacciate per l’originale.


Oltre l’arte digitale

Oltre a Christie’s molti altri nomi in vista, del mondo dell’economia e non, si sono buttati in questo nuovo mercato. Tra questi troviamo ad esempio Jack Dorsey, uno dei fondatori di Twitter che ha venduto il suo primo tweet in formato NFT a 2,9 milioni di dollari, e perfino il New York Times, che ha messo all’asta uno dei suoi articoli in questo nuovo formato per la cifra di 563.000 dollari.

Mettendo un attimo da parte la questione del mercato legato alle opere d’arte digitali, quello che potenzialmente offrono gli NFT è un modo per vendere qualsiasi tipo di entità digitale in maniera sicura e certificata. Questo apre le porte ad una serie infinita di scenari in vari contesti, non per ultimo quello del mercato dei software: dato che, di per sé, un software è virtualmente duplicabile all’infinito l’industria ha dovuto sempre trovare nuovi modi per cercare di impedire la diffusione di copie illegittime, dalle licenze d’uso annuali, passando per le chiavi di attivazione fino ad arrivare ai log online interni agli stessi programmi. Fino ad ora nessuno di questi metodi si è rivelato efficace e le copie pirata o “craccate” sono tutt’oggi un grosso problema per le compagnie (rendeva impossibile stabilire se l’utente finale fosse in possesso di una copia legittima)… ma tutto questo potrebbe presto finire.

Adesso con gli NFT la situazione potrebbe cambiare radicalmente: se infatti ad una specifica copia del programma viene associato un NFT significa che quel determinato esemplare non è più duplicabile o falsificabile. Per essere precisi è ancora possibile creare delle copie di tale elemento, ma esse verranno riconosciute sempre e solo come tali e mai considerate “originali” in quanto l’NFT attesta in modo univoco la proprietà di quella singola copia.

Già da sola una simile rivoluzione cambierebbe profondamente il modello di business di ogni software house esistente, ma le applicazioni degli NFT possono andare ben oltre ed è solo questione di tempo prima che ne vengano trovati nuovi impieghi. Questo cambiamento non può e non deve essere fermato: gli NFT stanno aprendo non solo le porte a tutta una serie di nuovi mercati, ma ci stanno mostrando anche un nuovo modo di concepire la proprietà ed il possesso di beni. Ora resta solo da vedere come il mondo si adatterà a queste nuova realtà, a cominciare dalle normative nazionali e internazionali in materia che sicuramente non tarderanno ad arrivare.

 

 

Umberto Macchi

 

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