Economia

Non è una laurea a creare una generazione capace e di successo

Non è una laurea a creare una generazione capace e di successo

Osservando il complesso e variegato mondo del lavoro, tra chi si è realizzato e chi no, chi ce l’ha fatta ad arrivare e chi no, si arriva  alla conclusione che il titolo di studio è certamente il mezzo che consente di  acquisire conoscenza e cultura che però non è sinonimo di intelligenza, che invece va a braccetto con apertura mentale e flessibilità mentale o capacità di riuscire a vedere le cose da più prospettive.

Non è un caso se in effetti molto spesso, gli uomini capaci di risolvere i problemi più complessi di questo mondo, sono proprio coloro che possiedono questa grande dote, e, magari poveri di chissà quali e quanti titolo di studio.

Di fatto ne abbiamo di dimostrazioni di chi ha saputo cogliere l’occasione ed è riuscito a costruirsi una buona professione, molti, dei veri e propri imperi, tanto per citarne uno su tutti, il grande Steve Jobs con il suo memorabile  “siate affamati, siate folli”.

La spinta motivazionale è la leva che muove tutto, che aiuta ad avere quel coraggio di scardinare quelle regole consuetudinarie che oggi danno l’idea di essere più argini che riferimenti per dare il via a  brillanti carriere.
La vera sfida dell’individuo e’ il riuscire attraverso la forza di volontà e la voglia di arrivare ad acquisire quella fiducia necessaria che gli consenta di  guardare con ottimismo ad un domani più felice.

Come non credere che sia proprio cosi, basta osservare i tanti lavoratori laureati magari anche a pieni voti che si trovano occupati in posti come call-center o magari come operai sottopagati in aziende private perchè non riescono a trovare l’impiego attinente agli studi che hanno svolto e mancano di quel coraggio necessario per avventurarsi sulla strada che li porta a realizzarsi professionalmente.

In quanti oggi si possono permettere il lusso di dire che svolgono la professione o il lavoro da sempre sognato, sicuramente in pochi, i più, si accontentano di portare a casa lo stipendio a fine mese, una vita quella di “accontentarsi” che a lungo andare genererà molti insoddisfatti e disillusi della società.

Dove si annida la causa del conflitto tra i giovani e il mondo del lavoro oggi, e soprattutto, come si spiega il fenomeno italiano sempre più in crescita di “Neet” (Not in education employment or training), che tradotto significa giovani che non lavorano e non studiano, della cui alta percentuale, tra le più elevate in Europa, purtroppo se ne fa carico il paese Italia.

Fenomeno rilevabile tra i nati intorno all’anno 2000 i cosiddetti “Millennials” , che non studiano, non seguono corsi di formazione, non lavorano e non lo cercano neanche, molti, rimangono pigramente in attesa, altri, perché scoraggiati e demotivati a causa di una società che non ha pensato a loro ed al loro futuro, che vivono in un paese che poco ha costruito per la loro  generazione, che molto si è speso in  assistenzialismo, prassi politica che  non aiuta l’individuo nel passaggio all’età matura ma lo deresponsabilizza.

Giovani che si trovano anche a fare i conti con quelle carenze educative che non li aiuta a far fronte ai problemi, che non li prepara ad affrontare le sfide ed a mettersi in gioco, come se ne ritrova contezza anche nei tanti falliti “ricambi generazionali”.

Ragazzi troppo viziati, impazienti e tanto insicuri, figli di una società adulta colpevole di educare in modo sbagliato i propri figli, ai quali danno tutto e subito, senza far capire loro lo sforzo, la fatica, il dolore, la pazienza, per ottenere beni materiali di qualsiasi entità, come la consapevolezza del valore del denaro.

Troppo spesso queste giovani generazioni confondono la vita reale da quella virtuale attraverso i social dei quali ne sono diventati parte integrante, dove tutto troppo spesso, viene ipocritamente falsato, e anche la persona più depressa e inappagata può mostrarsi come la più felice e realizzata del pianeta Terra.

E’ anche vero che non si possono imputare tutte le colpe alla famiglia, anche il mondo del lavoro ha le sue responsabilità e torniamo al concetto prima esposto, là dove usa i tanti giovani lavoratori come “numeri da usare” troppo spesso a periodi alterni, aumentando alle già tante frustrazioni, smarrimento, disorientamento, instabilità e poca certezza nel futuro.

I giovani di oggi, sono l’espressione di una società capitalistica e consumistica che guarda più all’apparenza che alla sostanza e spesso i genitori o il mondo produttivo ne diventano a loro volta inconsapevolmente vittime, e colpevoli di non riuscire a trasmettere  “quella fame di arrivare” di Steve Jobs, elemento essenziale per far crescere e sviluppare le potenzialità del singolo individuo, elemento necessario a  dare vita a tanti Elisabetta Franchi (stilista), tanti Arash Ferdowsi (Dropbox), tanti Mark Zuckerber (papà di Facebook), tanti Daniel Ek (Spotify), tanti Charles Culpeper (Coca Cola), tanti Bill Gates (Microsofts), tanti Henry Ford (Casa automobilistica Ford, tra l’altro mai andato a scuola), tanti Walt Disney (fondatore della Walt Disney Company) tanti Steve Jobs  (Apple e Pixar), nomi altisonanti che dimostrano di come alla base di una sfolgorante carriera vi siano elementi motivazionali come, il coraggio e la fiducia che hanno quel peso indispensabile per formare una generazione capace e di successo al di là di prestigiosi titoli di studio.