Economia

Non si sa mai? Parliamone serenamente, almeno a noi stessi.

Economia

In merito ai nostri investimenti, l’approccio nei confronti del mondo dell’industria finanziaria è sempre stato dettato da questa domanda: quanti interessi ricevo vincolando per meno tempo possibile i miei soldi?

Non che non fosse corretto preoccuparci dei tassi d’interesse e del tempo necessario per ottenerli; ma ci siamo mai chiesti del perché cercassimo interessi per far crescere i nostri risparmi accantonati? Del resto, in un’epoca in cui la redditività era garantita dai titoli di Stato, questo approccio era più che lecito. Nei capitoli precedenti però abbiamo visto come questa realtà si sia profondamente modificata. Siamo entrati nell’era glaciale dei tassi d’interesse, l’era dei valori prossimi allo zero se non addirittura negativi. In questo nuovo tempo la domanda con cui abbiamo aperto questa pagina rischia di non avere più significato, perché la risposta potrebbe essere: zero o meno di zero.

Possiamo far decrescere i nostri risparmi o impiegare 700 anni, ai tassi del cash di oggi, perché raddoppino?

La prima delle domande da porci potrebbe essere questa: perché risparmio?

Sembra banale ma non lo è. Facciamo assieme un piccolo esercizio. Sospendete per qualche minuto la lettura, prendete un foglio di carta e riempitelo con i vostri perché, con tutte le vostre personalissime motivazioni per cui potrebbe valer la pena accantonare denaro e resistere a quello splendido impulso di spenderlo per acquistare i prodotti che ci piacciono e gli oggetti di cui ci innamoriamo.

In questa pagina provo a riassumere le mie, certo che molte potranno sovrapporsi alle vostre.

Risparmio perché non si sa mai. Credo che questa sia l’affermazione più comune legata ai nostri perché, quella che li racchiude tutti. Ma proviamo a tradurre il concetto di «non si sa mai» in qualcosa di più concreto. È difficile ammetterlo, ma tale affermazione di solito si riferisce a imprevisti che potrebbero condizionare negativamente la nostra vita futura. Ci trinceriamo nel «non si sa mai» per evitare di parlare a noi stessi di possibili impedimenti di ogni natura: la perdita del posto di lavoro, malattie, infortuni o qualcosa di ancora peggio. Insomma, nel «non si sa mai» nascondiamo tutto ciò di cui non vorremmo mai dover parlare, che non vorremmo mai dover affrontare.

Come sarebbe cambiata la mia vita economica se ieri avessi avuto un incidente che mi avrebbe impedito di continuare a svolgere allo stesso modo la mia professione? E se non fosse stato un incidente ma una malattia? Come avrebbe tirato avanti la mia famiglia se quell’incidente o quella malattia mi avessero portato via da questo mondo?

È dura dover affrontare questi argomenti, ma purtroppo fanno parte della nostra quotidianità, anche se nessuno li augura a se stesso o ai propri cari.

Se proprio vogliamo fare una valutazione che ci aiuti a comprendere il reale impatto economico sulle nostre vite di eventi come quelli che ho appena descritto, immaginiamoli accaduti nel passato e proiettiamone gli effetti sulle nostre vite di oggi.

 

Vengono i brividi al solo pensarci, vero? Guardare al passato però ci crea meno ansia rispetto al futuro. Il passato fa parte della nostra storia, lo conosciamo e proprio per questo non ci spaventa, al massimo regala rimpianti. Il futuro invece rappresenta di per sé un’incognita, e se a quell’incognita ne aggiungiamo altre rischiamo di renderlo ancora più difficile da decifrare.

 

Se fosse accaduto ieri, cosa sarebbe di me e della mia famiglia oggi?

Non parlo di affetti, ma esclusivamente del lato economico; sul resto non posso incidere. L’aspetto economico va valutato, quantificato, misurato. Credetemi, rendere in qualche modo preventivabile l’imponderabile, renderlo più facile da gestire dal punto di vista finanziario, in qualche modo finisce per alleggerire anche problemi di altra natura: emotivi, sentimentali e affettivi. Sembra eccessivo ma non lo è. Sono certo che se leggerete in maniera sincera dentro voi stessi, capirete che quanto sto scrivendo in queste pagine può rappresentare la base fondamentale su cui costruire le nostre scelte d’investimento.

Insomma, il primo capitale da valutare, supportare e proteggere siamo noi, ciascuno di noi. Possiamo definirlo «capitale umano», noi e tutta la sfera dei nostri affetti e interessi.

È la prima cosa da proteggere. Senza il capitale umano, senza chi produce reddito, tutto il castello che ciascuno di noi ha costruito rischia di crollare. Il capitale umano permette di fare acquisti immobiliari, di vivere la vita di tutti i giorni, di pianificare il futuro dei figli e garantirlo, di pensare alla vecchiaia, di andare in vacanza, di comprare l’auto o lo smartphone di ultima generazione, di fare shopping e viaggiare.

Senza il capitale umano tutto questo non ci sarebbe. Riflettiamoci: probabilmente non lo facciamo consapevolmente, ma sappiamo che ci sono dei pericoli latenti, e per questo inconsciamente ci proteggiamo. Così buona parte dei nostri risparmi li accantoniamo proprio per far fronte a questi imprevisti.

Per essere tranquilli risparmiamo come formichine e mettiamo da parte per i tempi di magra. Quei risparmi, però, facciamo fatica a utilizzarli: è come se fossero perennemente vincolati dall’idea che improvvisamente potrebbero tornare utili, quindi non possono essere spesi per altre attività. E quando siamo costretti a farlo ci sentiamo spogliati, denudati, senza protezione. Ma è questa la risposta giusta alla domanda che ci siamo posti?

Quando penso al «non si sa mai» penso anche alla mia sussistenza economica futura. C’è un tempo della mia vita, quello attuale, in cui mantengo il mio tenore di vita grazie al mio lavoro, alla mia professionalità, e ci sarà un tempo, mi auguro, in cui il mio tenore di vita sarà garantito da quanto sarò riuscito ad accantonare oggi. Gli accantonamenti di cui parlo sono quelli legati agli aspetti previdenziali, ma non solo; con i sistemi pensionistici entrati in crisi, come farò a garantirmi, in futuro, un tenore di vita adeguato a quello che vivo oggi?

C’è un’unica strada: il mio denaro dovrà lavorare per me. Dovrà crescere adeguatamente, e non potrò certo contare sull’attuale redditività dei titoli di Stato perché questo avvenga.

Se penso al «non si sa mai» guardo anche al percorso scolastico delle mie figlie. Garantire loro un’istruzione adeguata ai tempi e idonea all’inserimento nel mondo del lavoro richiede un costo economico non indifferente: rette scolastiche, libri, l’affitto di un appartamento in una città universitaria, corsi post laurea, master. Se non faccio in modo che i miei capitali crescano adeguatamente, dove troverò i soldi per tutto questo?

E poi la vita di tutti i giorni. La qualità della vita quando sarò in pensione dovrà essere necessariamente più elevata di quella attuale. Avrò bisogno di cure e farmaci, ma avrò anche più tempo libero a disposizione. Il tempo libero può essere una maledizione se non si sa come impiegarlo, soprattutto se non si hanno le risorse economiche per renderlo interessante, ma può essere una benedizione se si possiede denaro per alimentarlo.

A me per esempio piacerebbe andare in giro per il mondo e visitare tutti i posti che non potrò vedere fin quando sarò impegnato a lavorare. Sono appassionato di gastronomia, quindi vorrei mangiare nei ristoranti stellati, assaggiare i dolci delle migliori pasticcerie, bere i whiskey più invecchiati e provare i cocktail preparati dai barman più estrosi.

E poi mi piacerebbe fermarmi ore davanti a un’opera di Leonardo, girare nelle sale del Louvre, del Prado e dei Musei Vaticani. Vorrei continuare a ingrossare la mia collezione di libri, così come faccio da quando ho imparato a leggere, e soprattutto mi piacerebbe andare alla ricerca di storie da raccontare.

È così che immagino il mio futuro, il tempo in cui non sarò più oberato di lavoro. Ma la fantasia, perché si trasformi in realtà, ha un costo, e il costo dei miei sogni va a sommarsi a tutte le altre voci di bilancio di cui ho parlato qualche riga più su.

Perché il mio conto economico sia in attivo avrò bisogno che le entrate siano maggiori delle uscite. Non voglio, non posso immaginare di dover pian piano rinunciare a qualcosa perché non posso permettermela. Rinunciare? A cosa?

All’università delle ragazze? Non se ne parla neanche.

Ai viaggi? Al Louvre, al Prado, alle storie da raccontare? Ai miei libri?

All’assoluto di cipolle impagabile di Niko Romito a Castel di Sangro o al panettone, anzi Il Panettone della pasticceria Besuschio ad Abbiategrasso? Ai paccheri di Chicco e Bobo al “Da Vittorio” di Brusaporto o alla pizza fantastica di Franco Pepe a Caiazzo?

A cosa rinuncio? Allo skyline di New York o al panorama di Parigi visto da Montmartre?

Alle medicine per vivere meglio o a un’ora in più di riscaldamento? Alla palestra o alla passeggiata con gli amici? Alla fettina di carne tenera o al pesce fresco? Alla pasta di grano duro o ai cannoli del pranzo della domenica? All’abbonamento a Sky Calcio o a Premium Cinema?

E se fossi costretto a rinunciare a tutto e non solo a una parte di tutto questo?

E se addirittura sopravvivessi ai miei soldi?

«Non si sa mai.» Traduciamo questa affermazione in attività finanziarie, in pianificazione, e cerchiamo la strada giusta per risolvere le esigenze che dovremo affrontare nella nostra vita. Da quelle che siamo certi di dover gestire a quelle con cui pensiamo di poterci confrontare, a quelle ancora che speriamo di non dover mai vivere e di cui dobbiamo comunque prevedere l’eventualità.

«Non si sa mai.»

Può essere la nostra fortuna o la nostra maledizione, può essere una vita fatta per essere vissuta fino in fondo, qualunque cosa ci riservi il futuro, o può trasformarsi in un incubo da cui non ci risveglieremo mai. Tutto passa, però, dalle scelte d’investimento che faremo oggi. Perché domani non avremo più il tempo per tornare indietro e cambiare le cose.

(Estratto da “Soldi Sicuri” Sperling&Kupfer maggio 2017)