Economia

Patto di Stabilità, ecco che cosa dovrà fare l’Italia col debito

E’ un accordo di compromesso tra rigore e investimenti. Polemica sul nuovo “no” al Mes, ma la Borsa se ne frega

Spirito di compromesso: nasce così, ha spiegato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti,  il nuovo patto di Stabilità europeo. Un compromesso tra l’esigenza di permettere gli investimenti per far ripartire il Pil dopo i ciechi rialzi ai tassi decisi dalla Bce e il rigore sui conti pubblici. A portare la prima istanza della crescita sono stati Paesi come l’Italia, a imporre l’austerity la Germania e i cosiddetti paesi frugali. La Francia nel mezzo.

Ne è risultato un compromesso che conferma i parametri del Trattato di Maastricht, quindi i paletti del 3% per il Deficit-Pil e del 60% per il debito. L’accordo fissa anche il relativo piano di rientro per chi sgarra.

Gli Stati con un debito superiore al 90% del Pil devono alleggerirlo di un punto l’anno, chi invece si colloca tra il 60% e il 90% può limitarsi a ridurlo dello 0,5%. C’è però una certa dose di flessibilità.

E’ stata infatti inserita una norma transitoria dal 2025 al 2027 che sterilizza, sebbene solo in parte, dal calcolo del deficit l’impatto dei maggiori interessi che dovranno pagare gli Stati a causa della politica restrittiva di Christine Lagarde. La stessa miopia che sta mandando in crisi le famiglie con le rate dei mutui casa e rischia di provocare un credit crunch per le imprese del made in Italy.

Il Patto prevede, infatti, in caso di investimenti la possibilità per gli Stati di modulare il rientro del decifit nel corso degli anni, purché a fine periodo l’obiettivo sia raggiunto. C’è inoltreun cuscinetto pari allo 0,3% del Pil su base annua così come hanno un trattamento di favore le spese per la difesa.

Già la Nadef prevede la riduzione del deficit (l’indebitamento strutturale scende dal -4,8% del 2024 al -4,3% nel 2025 per poi arrivare a un più sostenibile 3,5% nel 2026).

Decisamente più arduo sarà invece per Giorgetti gestire il debito pubblico da 2.868 miliardi, un macigno pari ormai al 140% della ricchezza prodotta, che dovrà appunto essere ridotto dell’1% all’anno. E di certo l’eredità ancora radioattiva del Superbonus voluto dal governo Conte peggiora ulteriormente la situazione.

Anche questo caso la Nadef prevede già un percorso di rientro del debito da 140,1% del Pil del prossimo anno al 139,6% nel 2026. Ma questo significa avere davvero pochi margini per le prossime manovre di bilancio, dopo il positivo verdetto delle agenzie di rating.

Per approfondire leggi anche: Patto e Mes ecco perché l’Italia non molla con Bruxelles.

A partire dalla riforma fiscale, forse la sola che, liberando la classe media da un fisco che ne divora la metà dei redditi, può davvero imprimere nuova forza ai consumi, all’occupazione e quindi al Pik. Rendendo così più sostenibili anche i debiti accumulati dagli sprechi del passato.

A livello politico va poi detto come lo spirito di compromesso tra il pressing di Bruxelles e la difesa degli interessi nazionali ha portato la maggioranza di governo a rifiutare ancora una volta di ratificare il Mes, si tratta del vecchio meccanismo “Salva Stati” ormai sostanzialmente tramutato in un “salva banche”.

L’Eurogruppo ha subito espresso rammarico per il no giunto dal Parlamento: l’Italia è l’unica a non avere dato il proprio assenso al Mes. Ma la Borsa non ha avuto alcuna reazione, neppure dal punto di vista dello spread con i Btp tedeschi. Piazza Affari è consapevole che oggi le banche italiane sono tra le più solide a livello patrimoniale del vecchio continente. Quelle di altri Paesi un po’ meno.