Da sempre insieme alle epidemie arrivano paura e incertezza. Paura di essere colpiti e morire, incertezza sulla natura dell’epidemia e, negli ultimi tempi, su quando arriverà il vaccino. Già in occasione della peste di Atene, nel 430 a.C., si confrontano due spiegazioni sull’origine dell’epidemia. Tucidide cerca di trovare le cause sulla terra, forse nei contagi giunti dall’Etiopia. Per Sofocle, invece, si tratta della giusta punizione delle divinità per le empietà degli uomini.
Questo secondo tipo di spiegazione, che ci parla di un’inevitabile decisione divina, si afferma in Occidente durante il Medioevo. Gli uomini di Chiesa e i predicatori si rendono conto che gli eventi e i fenomeni più temibili sono quelli improvvisi, imprevedibili e impressionanti: fulmini, arcobaleni, comete, terremoti, inondazioni, o anche epidemie e carestie. Se si spiegano come punizioni, l’ansia collettiva cala e si rinforza l’autorità della Chiesa. Si evita, infine, che una comunità se la prenda con le minoranze religiose o gli stranieri.
Alla fine del Seicento due londinesi s’interrogano sulla natura della paura e dell’incertezza. John Graunt, un commerciante, si mette a studiare i Bollettini dei decessi pubblicati dal comune. Ogni anno erano documentate le età dei morti e le cause: malattie, incidenti o violenze. Graunt calcola quanto ciascuna causa sia oggettivamente pericolosa per ogni persona nata a Londra. Nel suo libro del 1662 Graunt pensa di aver risolto il problema. Una volta misurati con precisione i rischi, le paure non sarebbero state né troppo grandi né troppo piccole. Essendo proporzionate alla probabilità degli effettivi pericoli, le paure avrebbero svolto soltanto un’utile funzione preventiva.
L’altra faccia del problema, l’incertezza, diviene calcolabile grazie all’intraprendenza di Edward Lloyd, gestore di una taverna. Era lì che i capitani e gli armatori commentavano i rischi corsi nei viaggi per mare. Lloyd raccoglie e pubblica la documentazione in modo sistematico ponendo le basi per l’affermarsi delle moderne assicurazioni.
Graunt e Lloyd auspicano che incertezza e paura diventino rischi calcolabili e, quindi, controllabili. Sarebbero aumentate le paure per i pericoli che tendiamo a trascurare, come oggi il cambiamento climatico, e si sarebbero ridimensionate le paure esagerate, quelle cioè non corrispondenti a rischi effettivi. Questo sogno illuminista svanisce quando, alla fine del secolo scorso, le scienze cognitive riescono a misurare le paure e a capire come funziona l’architettura del cervello umano. Quest’ultima è rimasta la stessa di quando vivevamo come cacciatori raccoglitori, decine di migliaia di anni fa. Allora era adattivo temere e saper reagire immediatamente a ciò che appare sulla scena in modi improvvisi, imprevedibili e impressionanti.
Oggi, invece, un modo di pensare intuitivo, spontaneo e veloce produce spesso giudizi affrettati e fuorvianti. Insieme a degli amici ho mostrato, grazie a degli esperimenti pubblicati esattamente venti anni fa dalla rivista Science, che è difficile correggere i pregiudizi. Tendiamo a trascurare inconsapevolmente i fatti che potrebbero mettere in crisi le nostre opinioni. Succede così che ancor oggi, sebbene in forme diverse da quelle del passato, le paure sproporzionate rispetto ai pericoli siano una risorsa per chi intende sfruttarle, quasi mai per fini nobili. Molti vivono in un nuovo medioevo costruito da pochi che alimentano il divario tra l’entità delle paure e i veri pericoli.
Nel momento in cui l’incertezza era massima e si sarebbe dovuto investire sui mercati azionari molte persone si sono rifugiate nei fondi monetari.
La maggioranza delle persone non è entrata nel più grande ETF azionario europeo in marzo, ma ha continuato a uscire fino ad agosto. La paura fa sbagliare il timing.
Le azioni sono care rispetto alla media storia p/e, e fanno paura per le forti oscillazioni ma, in confronto alle obbligazioni diventano convenienti perché queste ultime renderanno quasi nulla per molto tempo.
Questo divario, nel campo degli investimenti, corrisponde al “premio al rischio”, e cioè a quanto più devono rendere le azioni per compensare la certezza dei rendimenti ottenuti con il reddito fisso. Quanto più alte sono incertezza e paura, tanto più alto è il premio al rischio. Di questi tempi è molto alto perché il reddito fisso, tenendo presente l’inflazione, non rende quasi nulla mentre i fondi monetari sono negativi come i governativi europei.