Sapete perché molti politici continuano a raccontarci belle favole?
Semplicemente perché abbiamo bisogno di ascoltarle.
No, non abbiamo bisogno di essere presi in giro, la cosa è molto più complessa e semplice a un tempo.
Gli antropologi sanno bene che le fiabe non sono sempre rivolte ai bambini, come spesso si crede, ma bensì sono elementi fondativi del “mondo magico”.
Eravamo cacciatori e raccoglitori fino a poco più di 10.000 anni fa e non eravamo così primitivi come pensiamo. Forse vivevamo in una specie di paradiso terrestre, con strutture sociali già molto articolate e, come oggi, con un grande bisogno di sapere da dove venivamo e dove saremmo andati.
Ecco, le fiabe fondative, raccontano il percorso degli esseri umani di questa o quella comunità e soprattutto raccontano di come ce la faranno a tirare avanti.
Un mondo meraviglioso ma terribile, fascinans et tremendum, direbbe Rudolf Otto, dove “esistere” non era mai scontato e bisognava affermarlo in ogni momento della propria vita.
Tutto molto serio dunque, altro che storie per bimbi!
Oggi, anche se non viviamo più nel mondo magico e la parte razionale del nostro cervello ci ha permesso di effettuare cambiamenti prodigiosi, conviviamo, anche dal punto di vista biologico, con strutture arcaiche. Ad esempio, quelle che regolano la percezione del pericolo e quindi della paura.
Non voglio farvi venire il mal di testa, ma solo dirvi che 10.000 anni non sono niente, un alito di vento, quando, come specie, ci siamo comportati in modo diverso per centinaia di migliaia di anni.
I Sapiens non potevano essere pessimisti dato che il loro giardino dell’Eden era sì meraviglioso ma estremamente instabile, con pericoli di ogni genere che si palesavano ad ogni passo e una vita media che raramente arrivava ai quarant’anni.
Quando vivi in un mondo così fatto e hai poco più dell’aspettativa di vita di una farfalla, devi avere delle solide certezze e scenari per il prima, per il durante e per il dopo.
Il punto è che nessuno voleva ingannare nessuno.
Come scriveva il Maestro Ernesto de Martino, il “Mondo Magico” era funzionale e fondante in una realtà in cui tutti ci credevano. La magia e quindi i racconti di magia, aiutavano una “Presenza” umana che era costantemente in discussione.
Quello che gli antropologi, quasi tutti marxisti, e i politici, quasi tutti con la stessa estrazione, non hanno forse colto, è che ci portiamo dentro sia l’uomo nuovo che siamo e che saremo, sia l’uomo vecchio che siamo stati.
Per questo ci attirano i pessimisti e le sventure, solo perché siamo ancora condizionati dai nostri sistemi biologici che ci mettono in guardia dai pericoli.
Ma gli uni e gli altri non ci piacciono. Ci attirano ma non ci piacciono.
Ci piacciono le grandi storie a lieto fine dove, partiti da un paradiso, si ritorna ad un paradiso.
Questa capacità di raccontare, di disegnare grandi scenari che a volte cozzano con la fisica, la geopolitica e anche con le nozioni basiche di matematica, sono da sempre l’impulso che ha portato il genere umano a buttare il cuore oltre l’ostacolo, riuscendoci il più delle volte.
Non è un invito il mio a “ingannare il popolo” piuttosto a tracciare e saper narrare, scenari grandiosi nei quali noi dobbiamo credere per primi.
Gli amici della sinistra italiana, in un Paese in cui il grande capitale ha sempre latitato, (troppo giovane l’Italia e troppo grandi i saccheggi nei secoli precedenti) hanno sempre avuto un atteggiamento sprezzante e altezzoso. Francamente molto poco proletario o pop come si sarebbe detto poi.
Ricordo la difesa di Pierpaolo Pasolini dei poliziotti, povera gente e figli di povera gente che fronteggiavano gli studenti, eroi del ‘68. Erano spesso figli di papà che di proletario avevano ben poco.
Questo è il paradosso italiano che poi ha forti riverberi nelle problematiche economiche. La sinistra “con il Rolex” sfotte la destra con alterigia per le sue iperboli su un mondo diverso. Si parla di coperture che mancano, di uno Stato ridotto allo stremo dal punto di vista economico. Di grandi industrie che guadagnano troppo.
Il punto è che l’Italia, conti alla mano, è un “convento povero con frati ricchi”. Grazie a immensi sacrifici di diverse generazioni, che perdurano anche oggi, e un saper fare unico al mondo, il 70-80% delle famiglie italiane surclassano per risparmio accumulato molti Paesi Ricchi. Insomma, i soldi in Italia, caso unico al mondo, non li ha lo Stato ed in assoluto neanche i grandi industriali. I soldi li ha il popolo, grazie al suo risparmio, e con questi la capacità di fare una grande rivoluzione. Sempre che con tasse e inflazione non li facciamo evaporare.
Capite perché la comunicazione distruttiva non funziona?
Giuseppe Mascitelli, 20 settembre 2022