C’è un piccolo mistero nella politica italiana degli ultimi mesi. E’ comparsa infatti una strana propensione ad aiutare i ricchi da parte di partiti che hanno sempre dichiarato di voler difendere i più deboli.
Se è vero, come diceva Sherlock Holmes che un indizio è un indizio, due indizi sono un sospetto, tre indizi sono una prova, allora abbiamo la dimostrazione di come i Cinque Stelle in prima fila, ma in parte anche la Lega, abbiano appoggiato provvedimenti che contraddicono la loro ispirazione strettamente populista, cioè a vantaggio dei ceti popolari.
Il primo indizio è il cashback di Stato sulle carte di credito, una misura voluta e varata dal primo Governo di Giuseppe Conte, quello giallo-verde, e poi abrogata da Mario Draghi. Il cashback prevedeva un rimborso del 10% fino a 150 euro e premi elevati per chi avesse utilizzato più spesso le carte di credito per i pagamenti. Non c’è bisogno di particolari dimostrazioni per sottolineare come chi utilizza più spesso le carte di credito non sono certo i poveri.
Il secondo indizio viene dalla sostanziale bocciatura della proposta di Draghi, all’interno della manovra di riduzione delle imposte, di introdurre una piccola tassa aggiuntiva sui redditi più alti anche per finanziare tagli più consistenti a quelli medio-bassi. Apriti cielo. Tutti concordi nell’osteggiare un aumento, ancorchè poco più che simbolico, delle tasse sui ricchi.
Il terzo indizio è venuto dalla discussione del superbonus del 110% per i lavori di ristrutturazione e miglioramento energetico degli edifici. La “razionale” proposta del Governo era quella di limitare l’agevolazione, introducendo per le case unifamiliari il limite Isee di 25 mila euro per i proprietari. Nulla da fare. Cinque Stelle in testa hanno preteso che l’agevolazione (in pratica lo Stato paga tutti i lavori) venisse esteso a tutti, proprio a tutti, anche alle ville hollywoodiane sul golfo di Portofino.
Tre indizi fanno una prova. E’ il populismo “de noantri”. Tanto paga Pantalone, cioè tutti noi.
Gianfranco Fabi, 11 gennaio 2022