Siamo finalmente alla fase 2 e come volevasi dimostrare il disordine è grande sotto il cielo, e la situazione più che eccellente resta confusa. I comitati di coordinamento si susseguono. Alcuni di questi iniziano a chiedersi che ci stanno a fare, ma dovrebbero capire che forse sono lì come scudi umani per una politica debole che non vuole prendersi responsabilità e abbisogna di “esperti” (medici e non solo) per poter domani dire:” abbiamo seguito le indicazioni”.
Ragioniamo dunque in modo “avventato” sul tema della riapertura, non per trovare consenso, ma per aiutare i nostri pochi lettori a ragionare, al di là della pioggia di informazioni contraddittorie che quotidianamente riceviamo.
In primo luogo, la riapertura è necessaria: le stime di caduta del PIL italiano da parte dei vari organismi variano dal -11% (Goldman Sachs) ad una media delle previsioni attorno al 6%. Poiché la caduta del PIL potrebbe essere asimmetrica (il protrarsi delle chiusure delle piccole attività nel nord ad esempio), l’impatto potrebbe essere molto più pesante nel nord ovest ed a carico della struttura economica della piccola impresa. Senza pretesa di un calcolo preciso: nel solo nord ovest ci sono circa 1,2 milioni di imprese (che danno lavoro a circa 5 milioni di persone). Almeno 400 mila fanno capo alle filiere turistiche, dei servizi alla persona, del commercio non alimentare, etc. Questo significa che un terzo delle imprese potrebbe essere a rischio. Con loro almeno un milione di posti di lavoro (una stima prudenziale, derivante solo dalle chiusure delle piccole imprese senza contare cioè eventuali processi di efficientamento delle grandi strutture). Il calcolo – come detto – è solo sul Nord Ovest che ha una popolazione di adulti di circa 13 milioni di abitanti (ovviamente i calcoli sono aggiuntivi rispetto agli attuali livelli di disoccupazione). Ogni settimana addizionale di chiusura, ci hanno ricordato di recente FMI e Confindustria, vuol dire -0,75% di PIL.
In secondo luogo, potrebbe non essere così pericolosa. Questa è una affermazione forte e rischia di essere avventata. Tuttavia, ragioniamo su alcuni dati:
Mortalità 2020: il grosso della mortalità è stato di origine nosocomiale (ossia contagio generato nelle strutture sanitarie): 6-7000 decessi attribuiti al diffondersi del virus nelle RSA, a cui vanno aggiunti i decessi di personale sanitario e quelli di persone ricoverate in ospedale per altre cause. Non esiste ancora una stima precisa di questo impatto ma è evidente che la incapacità di mettere in protezione le strutture sanitarie ha dato un contributo importante al record di decessi italiano. Non sappiamo quanti siano decessi e contagi dati dalla frequentazione di cartolerie e librerie, ad occhio pochi, eppure su questa sfortunata categoria di imprese si sta giocando il braccio di ferro (sulla riapertura) fra Stato e Regione Lombardia. Non parliamo poi dei parrucchieri, oggi sogno proibito di una parte consistente degli italiani (e italiane).
Contagi: i nostri migliori virologi non ci hanno ancora capito molto (perdonate l’ardire). La maggioranza per non sbagliare dice: “state a casa”, Non tutti in verità, in Italia e fuori, hanno la stessa opinione, uno degli outlier autorevoli in Italia ad esempio è il prof. Tarro:
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/coronavirus-virologo-giulio-tarro-lidea-boris-johnson-ha-sua-1842269.html
Cosa non sanno gli esperti (e dunque non sappiamo noi):
- non sanno quanti siano i reali contagiati e non si è riusciti a fare screening di massa su popolazione sana (esistono modelli di stima, esistono questionari che girano chiedendo quanto stai bene tu ed i tuoi famigliari, ma sono tentativi molto discutibili per tempismo e capacità di analisi scientifica). Dunque non sanno stimare la reale mortalità e gravità dell’epidemia. Nel 2016/17 secondo gli studi scientifici condotti (ad esempio: https://www.ijidonline.com/article/S1201-9712(19)30328-5/fulltext) ci sono stati circa 25mila morti aggiuntivi per influenza in Italia. Nulla apparve sui media, nessun impatto sull’economia; solo la doglianza di chi pianse quei morti. Sappiamo come è andata invece nel 2020.
- non conoscono bene i meccanismi di contagio: ne abbiamo sentite di ogni su questo tema: dal leggiadro “virus is in the air” ai disegnini con i modelli di diffusione dello spray virale sugli scaffali del supermercato. In realtà, un mesetto di lock down qualcosa forse ci ha insegnato: al di là del ruolo delle stesse strutture sanitarie, il contagio difficilmente arriva dal supermercato, dalla corsetta o dal giro in bici al parco, più facile arrivi in famiglia. Abbiamo vuotato le città, distanziato la società (almeno qui nel nord) ed i contagi benché a tassi molto inferiori ci sono stati comunque. Per fortuna sono mediamente meno gravi di prima (lo dicono le statistiche di ricoveri e rianimazioni). Qualcuno lo sussurra: forse non sono i negozi, la metropolitana, i parchi e tutti i luoghi di contatto veloce e fugace, dove sono (e saranno) in uso le protezioni. Sono altri i luoghi dove, nel caso, si rischia di più. Ma non possiamo chiudere le famiglie come abbiamo fatto con i negozi. Lasciamo perdere, aspettiamo che queste code si esauriscano. Nel frattempo, riapriamo tutte le attività sociali, ad esclusione magari di quelle di massa. Ma anche qui: in uno stadio con la capienza di 70 mila persone perché non farci entrare 10 mila spettatori (uno ogni 7 posti)? C’è il rischio che si bacino ed abbraccino? E se lo facessero a casa davanti alla TV guardando la partita assieme, cosa cambierebbe?
- protocolli di cura: dalle notizie che vengono diffuse -nessuno di noi è esperto, ci mancherebbe – non sembrano nemmeno avere certezze sui protocolli di cura (siamo partiti dagli antimalarici e siamo arrivati all’eparina, speriamo bene…) ed invece questo è un punto cruciale. Qualche virologo (lo stesso Tarro già citato) sostiene che trovare la cura è più importante del trovare il vaccino (perché il vaccino è troppo mirato sulle singole varianti del virus e potrebbe non coprirle tutte, come capita con l’influenza, peraltro).
- non conoscono bene i meccanismi di guarigione ed immunizzazione individuale: il “guarito non guarito”? Una nuova categoria sociale, che appare dalle news, sempre più confuse ed allo sbando.
- non sembrano avere certezze sui meccanismi di immunizzazione collettiva (la famosa teoria del gregge e le sue varianti). Su questo punto non sta a noi esprimere opinioni, ma se fossimo dei decisori politici responsabili una risposta a questo la vorremmo subito. Pensate ai modelli di stima sulla diffusione del che sono girati: in Italia ci sarebbero, a fronte di 170mila contagiati ufficiali, da 6 milioni (stime Imperial College Londra) a 11 milioni di contagiati “silenti” ( https://www.corriere.it/cronache/20_marzo_30/coronavirus-foresti-santagostino-contagiati-italia-sono-almeno-11-milioni-daeb3994-728f-11ea-bc49-338bb9c7b205.shtml ). Se foste un decisore politico cosa fareste? Un possibile ragionamento sarebbe il seguente: se la distribuzione dei contagiati silenti seguisse la distribuzione dei contagiati “ufficiali” avreste in Lombardia (10 milioni di abitanti) una elevata probabilità che la Regione stia per raggiungere la sua soglia di immunità di massa. Ad oggi circa 4 contagiati su 100 sono in Lombardia, se applichiamo lo stesso calcolo ai silenti vi verrebbero a seconda delle stime da 2,4 milioni a 4,4 milioni la quota dei contagi silenti nella regione. Quale è l’impatto sulle scelte sociali e politiche di questo? Se fosse vero e la teoria dell’immunizzazione di massa avesse qualche fondamento (e diversi virologi lo sostengono) la Lombardia ed i lombardi potrebbero essere i primi a riaprire, non gli ultimi. A favore di questa ipotesi – che al momento resta tale – starebbe anche la discesa maggiore dei tassi di nuovi contagi proprio nelle zone Lombarde di maggiore contagio.
Questo articolo non vuole inneggiare a scelte irresponsabili. Ma fin dai primi scritti abbiamo sostenuto che bisogna prendere decisioni politiche coraggiose. Il virus uccide, ma anche la prudenza uccide. La popolazione italiana (inclusi i Lombardi e le altre regioni duramente colpite) è più responsabile di quello che sembra, vuole riprendere una vita normale, adottando comportamenti prudenziali. Lo Stato ed il sistema di offerta devono solo incentivare i comportamenti virtuosi, con tanto buon senso.
Se dovessimo dare un consiglio ai livelli politici: se proprio vi serve un comitato di crisi vi consigliamo due figure: un buon ricercatore sociale (e sul mercato siamo in tanti) per capire veramente come guidare la popolazione e … un bravo bagnino della riviera romagnola. Negli ultimi giorni proprio dalle interviste a bagnini della riviera abbiamo sentito le cose più sagge e questo ci dovrebbe far riflettere. Da loro il rifiuto garbato ma deciso per soluzioni stupide (ricordate il plexiglas attorno agli ombrelloni? o il prendere il sole con la mascherina? Ecco…). Da loro un lavoro concreto su operazioni di riqualificazione delle strutture con aumento delle distanze fra ombrelloni. Da loro grande sensibilità e accoglienza per le persone che li onoreranno della loro presenza. Un bagnino for President? Pensiamoci.
© Research Dogma 2020