Pesa di più un KG di oro o di zafferano?

L’importanza di guardare il boom delle commodity nella sua totalità

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Se a molti di noi chiedessero, se preferiamo un KG di argento o un KG di zafferano, probabilmente alcuni di noi risponderebbero inconsciamente d’argento. Potrebbe quindi stupirci scoprire che mentre un KG di argento costa meno di 800 euro al KG, un KG di zafferano di alta qualità può arrivare anche a 30.000 euro, circa la metà di un KG d’oro! Il risotto allo zafferano che ordiniamo al ristorante d’ora in poi ci sembrerà più economico, qualunque sia il suo prezzo.

Questo costo elevato è dovuto al fatto che per ottenere un KG di zafferano serve un lungo procedimento di coltivazione, estrazione della spezia e lavorazione: basti pensare che, per produrre un kg di zafferano, sono necessari ben 250.000 fiori e 600 ore di lavoro.

Le commodity ci hanno accompagnato nella storia da molti punti di vista. L’uso delle spezie era ampiamente diffuso tra gli Egizi già intorno al 2600 a.C., nella Bibbia si parla di oro, incenso e mirra mentre nella storia della Cina si parla diffusamente del riso e qualcuno dice che quest’ultimo sia stato la prima commodity negoziata nella storia, seguita dai gettoni di argilla usati dai sumeri per comprare il bestiame.

La parola commodity letteralmente descrive ogni tipo di merce o materia prima tangibile e fruibile sul mercato, facilmente immagazzinabile e conservabile nel tempo. Deriva dal francese commodité, con il significato di ottenibile comodamente. Né lo zafferano né l’oro sono facilmente ottenibili, come sappiamo; il significato attuale è più vicino alla logica di ottenere un vantaggio o una convenienza.

Il 2021 sembra un probabile anno delle commodity, compresi materiali a noi davvero poco conosciuti. Con la riapertura dell’economia non ci stupisce vedere il rame volare a +35% da inizio anno, essendo un metallo indispensabile per la nostra economia moderna. Su una scala di massa, la generazione e la trasmissione di elettricità, dispositivi elettrici ed elettronica sarebbero impossibili senza il metallo rosso. E’ diventato fra l’altro un indicatore molto seguito dai trader il rapporto fra rame e oro; quando l’indicatore sale vuol dice che c’è domanda di rame e cioè crescita economica e viceversa.

Ma questo è l’anno in cui quasi tutti metalli stanno volando come prezzo. Il palladio, metallo molto meno conosciuto, in poche settimane ha già fatto un +30% e non sembra voler rallentare, e lo stesso stanno facendo nichel, zinco, alluminio, acciaio e così via. Anche il legno è rincarato, crescita legata al piano di stimoli fiscali e la forte ripartenza del settore dell’edilizia abitativa! Tutto questo deve preoccuparci per gli effetti inflattivi. L’indicatore dei prezzi alla produzione (PPI) è già in significativa salita rispetto al 2020, effetto ancora non arrivato per fortuna ai consumatori, ma è solo questione di tempo (anche se il dato sull’inflazione USA di qualche giorno fa, decisamente superiore alle aspettative ci dice che questo momento sta arrivando velocemente).

Sulla salita dei prezzi di petrolio e metalli, spesso vengono riempite le pagine dei giornali. Ricordo ancora le paginate che gli dedicarono quando a marzo/aprile 2020 i future del petrolio erano negativi. Però spesso si dà molta meno attenzione alle cosiddette soft commodity, cioè caffè, cacao, zucchero, mais, grano, soia e frutta, i prodotti che vengono coltivati, piuttosto che estratti, i quali sono anche detti prodotti di base.

E invece anche quest’ultimi meriterebbero la dovuta attenzione, soprattutto per le implicazioni geopolitiche. Forse non tutti oggi lo ricordano, ma nel 2008 ci fu una grande crisi alimentare. Già nel 2007 infatti i prezzi sul mercato mondiale del grano e del riso erano cresciuti rispettivamente del 77% e del 18%, continuando la loro corsa anche nel 2008.

L’aumento dei prezzi dei cereali ha portato con sé un aumento dei prezzi dei generi alimentari, e se questi rincari sono facilmente assorbibili nei paesi sviluppati, la situazione è ben diversa per i paesi in via di sviluppo. Aumenti di questo tipo infatti possono incidere in maniera pesante sul bilancio famigliare, trascinando molte famiglie verso la povertà.

Rincari all’epoca causati sì da aumenti della domanda in Cina ed India, sì da investimenti mancati nel settore agricolo, ma anche (e qualcuno dice soprattutto) dall’incremento delle coltivazioni di derrate per i biocarburanti, a riprova che anche una buona causa come la salvaguardia del pianeta può portare a conseguenze poco piacevoli per molti. Scoppiarono rivolte in molti paesi, come Egitto, Filippine, Bangladesh, Camerun, Haiti e Costa d’Avorio, solo per citare le più violente, che hanno lasciato sul campo anche dei morti.

Tra la fine del 2010 e inizio 2011 vi è una replica del fenomeno, che prende il via con la protesta della “baguette” per l’aumento del prezzo del pane in Tunisia e che poi si propaga in altri paesi arabi, dando il via alle cosiddette “primavere arabe”. Anche in questo caso la causa principale è un significativo aumento dei prezzi dei prodotti alimentari come lo zucchero, la carne, i semi oleosi e le materie grasse. Lo zucchero in particolare ebbe un rincaro record, superiore al 100% rispetto ai prezzi di soli 3 anni prima. Le proteste poi si allargarono ad Egitto, Libia, Siria, Yemen e così via, con risultati poco incoraggianti.

Non è mia intenzione adesso fare una disamina del post primavere arabe, forse è ancora troppo presto, anche se guardando come vanno le cose in Siria… un’idea forse la possiamo avere. Mi piacerebbe però ricordare a tutti noi che quando parliamo di commodity, non dobbiamo pensare solo a rame e ferro. I semiconduttori sono sicuramente una cosa importantissima per la nostra civiltà attuale e la loro mancanza può rallentare la crescita economica, ma non solo di semiconduttori vive l’uomo. I prezzi fuori controllo per le soft commodity andrebbero ad abbattersi su oltre 1 miliardo di persone con conseguenze e rischi ben peggiori che il ritardo di uno o due anni nel passaggio alla mobilità elettrica!

 

Alessio Benaglio

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