Le dinamiche del mercato del petrolio sono cambiate drasticamente negli ultimi decenni, rendendo l’OPEC impotente di fronte alla caduta dei prezzi.
Quando è stata fondata nel 1960, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) era responsabile per circa l’80% dell’export globale. Da allora, nonostante il numero di paesi membri sia aumentato da cinque a quattordici, la fetta di mercato dell’organizzazione è scesa al 39%. Ciò è dovuto principalmente a un forte incremento della produzione globale.
L’offerta
I dati di BP mostrano che dal 1965 la produzione globale di petrolio è aumentata del 186%. Basti pensare che è diminuita solo in Libia, Romania, Siria, Trinidad e Tobago e Venezuela. La seguente tabella raffigura i 15 paesi la cui produzione è aumentata di più in termini assoluti, misurati in terawattora.
Otto dei quindici stati presenti nella tabella non sono parte dell’OPEC. Ciononostante, è l’aumento di diversificazione dell’origine geografica, dovuto agli incrementi di produzione di quasi tutte le aree del mondo, che ha causato la diminuzione del potere dell’OPEC di influenzare il prezzo di mercato.
Dal 2012, il trend ha accelerato, trascinato dalla produzione americana. Sebbene consapevoli dell’aumento dell’offerta, il gruppo, guidato dall’Arabia Saudita, ha deciso di non diminuire l’offerta. La scelta era volta a mettere in difficoltà i produttori americani (per non perdere quote di mercato), che hanno maggiori costi di produzione dovuti all’impiego delle tecniche di fracking. Questi si sono però dimostrati essere efficienti ed elastici, e sono riusciti a superare il periodo.
Dopo aver preso coscienza del proprio errore di calcolo, la coalizione si è allargata nel 2016, quando i prezzi del petrolio erano crollati sotto i $30 al barile, arrivando a coinvolgere altri dieci paesi esportatori, come il Kazakistan e la Russia. Il gruppo, chiamato OPEC+, controllava allora circa metà degli export di oro nero, e arrivò al consenso di tagliare l’offerta.
Importanti tagli hanno avuto luogo tra maggio 2017 e giugno 2018, periodo susseguito da una maggior produzione tra giugno e dicembre dello stesso anno. Dall’inizio del 2019 fino all’avvento della pandemia, vi sono stati invece altri tagli. L’inconsistenza della politica dell’OPEC+ è dovuta alle differenze tra i fattori situazionali con cui i paesi membri devono rapportarsi, che coinvolgono riflessioni di natura economica, geopolitica e sociale. Gli stessi costi di produzione variano, e non di poco. Per esempio, per i paesi del Medio Oriente questi sono significativamente inferiori a quelli dei paesi africani e sudamericani.
Dopo il crollo del 2016, però, il prezzo del petrolio è rimbalzato, fino a raggiungere un picco di $80 al barile. Ciononostante, gli analisti del settore ritengono che ciò sia stato determinato solo in piccola parte dalle decisioni dell’OPEC+. Concorda uno studio della BCE, la cui conclusione ipotizza che, in media, senza i tagli del gruppo, il prezzo in quel periodo sarebbe stato inferiore soltanto del 6% (circa $4 a barile).
Per far fronte al crollo della domanda dovuto ai lockdown, l’OPEC+ ha implementato il più grande taglio di sempre in primavera, pari a 9.7 milioni di barili al giorno (circa il 10% dell’offerta mondiale). A seguito dei primi segni di ripresa economica, il gruppo ha poi alleggerito il taglio di 2 milioni di barili al giorno.
Una riunione avrebbe dovuto aver luogo questa settimana, per poi essere stata rimandata. La notizia ha comportato un lieve e temporaneo rallentamento della risalita del prezzo, che è invece guidata dalla luce alla fine del tunnel che la promessa dei vaccini ha illuminato.
Il macro-trend
Oltre ad avere una minore influenza sul prezzo di mercato, i grandi esportatori di petrolio devono anche fare i conti con dei macro-trend che non offrono prospetti rosei. Il più ovvio ha a che fare con il cambiamento climatico e la conseguente inevitabile transizione verso fonti di energia sostenibili, che stanno, tra l’altro, diventando sempre più economiche.
È anche importante notare che la costruzioni di centrali eoliche, solari etc. sono comunque sensibile ai prezzi del petrolio, in quanto beni sostitutivi. Le decisioni che detteranno la strategie dell’OPEC+ sono dunque complesse, in quanto il gruppo desidera margini maggiori per gli ultimi anni ma non vuole incentivare alternative green.
Un altro trend rilevante si può osservare nel settore automobilistico. Infatti, le macchine elettriche continuano a conquistare quote sempre maggiori di mercato, e sono supportate dagli incentivi dei governi che vogliono raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità ambientale. Ecco un grafico.
Le macchine elettriche stanno anche diventando più economiche, grazie soprattutto al crollo dei costi delle batterie (che stanno anche diventando più efficienti).
Tutte le previsioni di BP, che considerano vari scenari, prevedono che la domanda di petrolio salirà quando le restrizioni messe in atto per contenere la pandemia verranno rilassate, per poi cominciare a scendere. La multinazionale non prevede però che la domanda raggiungerà mai più i livelli registrati nel 2019. In altre parole, BP ritiene che il picco della domanda di petrolio abbia già avuto luogo.
Non sorprenderà però vi siano previsioni significativamente differenti, tra cui quella dell’OPEC, che prevede il picco avrà luogo nel 2040. Eccole:
In conclusione, il declino della domanda di petrolio è inevitabile. Il suo prezzo durante i prossimi decenni, invece, dipenderà dalle dinamiche del mercato, su cui però l’OPEC non esercita più il controllo di una volta.