Queste saranno ore molto delicate per la Federal Reserve americana, perché probabilmente non aumenterà i tassi di interesse, ma finora è sembrato che lo farà a marzo. Ma lo farà davvero? Il dubbio è legittimo, perché negli ultimi dieci giorni non una sola notizia è stata favorevole all’avverarsi di uno scenario del genere.
I mercati azionari, soprattutto quelli americani, sono crollati come non si vedeva dal triste marzo del 2020. A cadere più pesantemente è stato il settore tecnologico, dove sembra esservi stato un autentico fuggi fuggi dagli “unicorni”, cioè da quelle società che vengono collocate in borsa valendo già almeno 1 miliardo di dollari.
Sembra che oggi nel mondo ci siano quasi mille start-up il cui valore supera il miliardo di dollari e per questo vengono definite unicorni. Ma il valore di queste aziende potrebbe rappresentare una nuova bolla, perché la loro proliferazione negli ultimi anni è stata incredibile, così come il fatto che oggi non sono le start-up a cercare investitori, ma sono questi ultimi che vanno a caccia di nuove idee da finanziare.
Il problema è che queste società spesso non fanno ancora utili, a volte nemmeno quando raggiungono il miliardo di dollari di valore. Se i tassi aumentassero in fretta, i loro debiti potrebbero esplodere. È questo che sta scatenando la fuga degli investitori.
Molti gestori di fondi stanno perdendo più degli indici, perché hanno in portafoglio queste società o aziende simili. E allora fanno pressione sulla Fed affinché non aumenti il costo del denaro. Così BlackRock, uno dei più grandi gestori del mondo, dichiara senza mezzi termini che: “le banche centrali devono scegliere tra inflazione e crescita”.
Ma le rimostranze che contano non sono solo queste. La settimana scorsa, infatti, nientemeno che il leader cinese Xi Jinping ha dichiarato senza mezzi termini che “se le principali economie schiacciano bruscamente il freno e imprimono una svolta a U sulla politica monetaria, allora ci saranno dei problemi, e saranno i Paesi emergenti a pagare”.
Ma non è tutto. Anche il Fondo Monetario Internazionale venerdì ha mandato un avvertimento alla Fed, ricordandole che una stretta al costo del denaro potrebbe “gettare acqua fredda” sulla già debole ripresa economica in alcuni paesi, per giunta in un momento in cui il debito globale nel 2020 ha toccato i 226 trilioni di dollari, il più grande aumento in un anno dalla Seconda Guerra Mondiale.
Dunque si muovono i nomi pesanti della politica e della finanza internazionale, tutti dichiarando all’unisono che l’aumento dei tassi di interesse per ora non ci deve essere. Punto e basta. Oltretutto anche le prospettive di crescita economica mondiale sono state tagliate e la tensione per la questione ucraina sta salendo alle stelle. Dunque, niente scherzi Mr. Powell!
A fine anno qualche gestore si spinse a dire che la Fed avrà un grosso problema di credibilità, vale a dire dovrà affrontare il dilemma tra combattere l’inflazione, facendo il suo dovere, o evitare di far cadere ulteriormente le borse e rallentare l’economia, dimostrando di essere in ostaggio. Nelle ultime ore il secondo scenario prende forza.
Tanto più che Powell potrebbe salomonicamente giustificarsi dicendo che i dati sull’inflazione americana non sono ancora sufficienti per aumentare i tassi. Non sarebbe vero, ma sarebbe una scusa onorevole. In fondo questa volta l’attacco speculativo da parte dei mercati potrebbe essere partito proprio nei confronti della Fed.
Massimo Intropido, 26 gennaio 2022